migrazioni
Le tensioni tra Spagna e Marocco a Ceuta non sono un evento fortuito, ma rivelano una nuova geopolitica migratoria nel Mediterraneo, in cui le zone di frizione si spostano da est a ovest. Marocco, Algeria e Tunisia stanno prendendo il posto di Libia e Turchia, che erano state i principali trampolini verso l’Europa durante la crisi del 2015-2016. In questa riconfigurazione la Spagna, unico paese europeo ad avere una frontiera terrestre con l’Africa nelle enclave di Ceuta e Melilla, si ritrova in prima linea. Nel 2016 la penisola iberica riceveva appena il 3,4 per cento del totale dei migranti approdati nel vecchio continente (13.246), molto meno rispetto alla Grecia (45,6 per cento) e all’Italia (46,7), secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Quattro anni dopo la gerarchia si è invertita. Con un valore assoluto triplicato (41.861 persone), la Spagna è diventata nel 2020 il principale paese di sbarco in Europa, assorbendo il 42 per cento degli arrivi, davanti a Italia (34,3) e Grecia (14,8). La riduzione dei flussi migratori in questi ultimi due stati è dovuta all’assistenza europea concessa ai paesi di transito – dall’accordo concluso a marzo del 2016 tra Bruxelles e Ankara al finanziamento della guardia costiera libica, passando per gli aiuti al Niger – i cui effetti hanno cominciato a farsi sentire.
Mentre l’emergenza nel Mediterraneo orientale e centrale si riduceva, però, gli allarmi sono scattati nella zona occidentale. L’aspetto preoccupante per l’Europa è che non si tratta solo di uno spostamento geografico dei flussi per aggirare gli ostacoli alzati in Libia e Turchia. La dinamica migratoria è diversa, perché in questo caso coinvolge le popolazioni dei paesi costieri e non più solo i migranti in transito dall’Africa subsahariana, dalla Siria o dall’Afghanistan.
A questo fenomeno hanno contribuito tre fattori. Il primo è il peggioramento della situazione socioeconomica in Tunisia, da cui oggi proviene un terzo dei migranti che arrivano in Italia, mentre tra il 2015 e il 2016 il suo contributo era stato marginale. Il secondo è che l’Algeria, colpita da una doppia crisi politica (repressione del movimento dell’hirak) ed economica (crollo delle entrate petrolifere), registra una ripresa delle partenze verso la Spagna. Il numero di algerini sbarcati nella penisola iberica si è moltiplicato di 2,7 volte tra il 2019 e il 2020, secondo i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Gli algerini rappresentano ormai il 40 per cento degli arrivi in Spagna.
Sfida nel Sahara
Infine (e soprattutto) c’è da considerare l’atteggiamento del Marocco, che rappresenta una sfida particolarmente spinosa per l’Europa. Nonostante Bruxelles abbia speso circa 343 milioni di euro dal 2014 per aiutare Rabat a controllare i flussi migratori, negli ultimi mesi le autorità marocchine hanno evidentemente allentato l’attenzione (come dimostra la crisi di Ceuta). Lo scopo è fare pressione sugli europei e convincerli a riconoscere la sovranità di Rabat sul Sahara Occidentale, come aveva fatto Donald Trump poco prima di lasciare la presidenza degli Stati Uniti.
I dati parlano chiaro: il 55 per cento degli arrivi in Spagna nel 2020 (23.025 su 41.861) proveniva dalle isole Canarie, un dato aumentato del 753 per cento nel giro di un anno. Questo flusso inedito parte soprattutto dalle coste del Sahara Occidentale, saldamente controllate dall’esercito marocchino. Il messaggio rivolto agli spagnoli, e agli europei in generale, è inequivocabile. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1411 di Internazionale, a pagina 33. Compra questo numero | Abbonati