Velocissima la lettura di quest’opera della metà degli anni ottanta, tramite un eccellente découpage, cinematografico ma anche a fumetti, per quanto riguarda l’inserimento delle vignette – del loro montaggio – all’interno dell’architettura della tavola. Ma soprattutto, l’autrice giapponese, di prim’ordine ma che arriva in Italia solo adesso, quando gli autori erano ancora in maggioranza uomini, ha compiuto un capolavoro di grazia che ha ancora tanto da insegnare. E questo quasi solo per mezzo del suo segno grafico. Incarna qualcosa che ci vorrebbe massicciamente nel manga e nel fumetto di oggi, d’autore e popolare, ormai così sgraziato: un’opera di rievocazione e di reinvenzione della grazia fanciullesca e spensierata del manga degli anni cinquanta e sessanta (forse anche quaranta), ma che si può estendere al fumetto umoristico italiano (a cominciare da Bottaro), anche se più come spirito e non tanto come vicinanza grafica, o al fumetto umoristico statunitense per la stampa quotidiana pieno di autori geniali (come Barnaby di Crockett Johnson) e a certi raffinati vignettisti del New Yorker del passato. Sorta di Betty Boop aggiornata, Lucky volteggia nel grande magazzino dove lavora, spia contro lo spionaggio industriale: qui tutti hanno mentite spoglie. Ma quanta purezza, innocenza e delicatezza veicola un segno grafico in tutta la sua grazia.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1634 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati