È la riedizione di un capolavoro di svolta nella storia del fumetto: Gli occhi del gatto (1978) di Moebius, su testi del maestro del cinema surrealista Alejandro Jodorowsky. Presto divenuta opera di culto, ha una struttura rigida: una vignetta stretta sulla pagina di sinistra in cui è raffigurata la silhouette nera di un ragazzo calvo a cui fa da contrappunto sulla pagina di destra una vignetta enorme e dettagliata, che volutamente richiama e reinventa grandi quadri e incisioni della storia dell’arte. Se nel linguaggio cinematografico sarebbe un continuo campo e controcampo, qui, quelle che normalmente sarebbero due vignette di una tavola diventano invece due tavole singole e così facendo, mediante la loro contemplazione plastica, anche dei quadri: questa opposizione e coabitazione degli opposti, delle antinomie estetiche, corrisponde a due diverse maniere dello sguardo, della visione del mondo. Il ragazzo calvo è cieco e la vignetta stretta sulla sinistra corrisponde a una vita priva di qualsiasi speranza, a un vicolo, cieco come il protagonista; quella sulla destra è sontuosa e la sua magnificenza rivela come sia favoloso quanto terribile vedere davvero. Soprattutto se si è al contempo vittime e carnefici, proprio come il protagonista di questa parabola della crudeltà dal sapore antico. In un’ideale antologia dei più bei fumetti che affrontano la condizione umana sarebbe perfetta come rappresentazione che la trasfigura.

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Questo articolo è uscito sul numero 1624 di Internazionale, a pagina 79. Compra questo numero | Abbonati