@panini comics

In quest’ottimo primo volume si strizza un po’ l’occhio a Watchmen, il capolavoro di Moore e Gibbons che rivisitava i supereroi in chiave psicopatica come metafora della deriva della società. Gli autori, due firme italiane tra le più significative della nuova generazione, lo rivisitano a loro volta al limite del parodistico e arrivano alla medesima constatazione sulla società. I punti di riferimento sono rovesciati. Sembrano gli Stati Uniti, ma a una lettura attenta si capisce che siamo invece in Italia, forse a Roma. E che tutto, con i supereroi che si chiamano Puah! o Ispirazione, rimanda all’opera d’arte e alla sua demistificazione: perfino l’omicidio di uno dei supereroi si muta in un’installazione a metà tra pop art e action painting (l’omicidio è “azione” pittorica spinta all’estremo). Tutto è risibile, farsesco, senza gravità: siamo nel postmoderno, quello teorizzato da Fredric Jameson, sull’immagine privata d’interiorità e dominata dal patinato, dal levigato e dall’eccesso di colori saturi, ipereccitanti. Ma qui abbiamo autori consapevoli, compresa la colorazione di Nicola Righi, e se ci si riflette tutto produce un senso (e il suo opposto), pur divertendo. Del resto, una delle supereroine si chiama Da da da. E l’intera storia del fumetto, nelle sue migliori espressioni, ha fatto propria l’intenzione del dadaismo, quella di ricercare (e proteggere) “l’infanzia dell’arte”.

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Questo articolo è uscito sul numero 1425 di Internazionale, a pagina 89. Compra questo numero | Abbonati