Dopo il dirottamento del volo Ryanair e l’arresto del giornalista Roman Protasevič, la Russia – alleata e sostenitrice della Bielorussia – ha mantenuto un singolare silenzio. Alcuni funzionari non di primissimo piano, come la direttrice della rete tv RT, Margarita Simonjan, hanno elogiato l’azione di Minsk, ma il portavoce del presidente Vladimir Putin non ha rilasciato commenti e i giornali vicini al Cremlino non hanno dedicato molto spazio alla vicenda. Solo nel pomeriggio del 24 maggio il ministro degli esteri, Sergej Lavrov, ha dichiarato che la Bielorussia ha agito in modo “assolutamente ragionevole” e ha chiesto alla comunità internazionale di “valutare sobriamente la situazione”.

Secondo gli esperti di relazioni russo-bielorusse, la reazione di Mosca rivela la sua ambivalenza verso il leader bielorusso Aleksandr Lukašenko, che per i russi è un alleato sempre più debole e problematico. “Sono convinta che Lukašenko abbia agito da solo, senza il coinvolgimento russo”, dice Tatjana Stanovaja, fondatrice del centro studi R. Politik. “Ma Mosca è la garante del regime di Lukašenko, e lo sarà anche in futuro, perché non ha alternative”.

Dopo le grandi proteste innescate dalle elezioni presidenziali truccate del 9 agosto, la Russia ha subito offerto il suo sostegno al regime di Lukašenko, che in questo modo è diventato ancora più dipendente dal suo principale protettore. “Dietro alla longevità politica del leader di Minsk c’è la Russia”, afferma Stanovaja. “E gli ultimi eventi cementeranno ancora di più questo legame”.

Per alcuni analisti, vista la sempre maggiore dipendenza di Lukašenko da Mosca, il Cremlino non può non essere coinvolto nell’arresto di Protasevič. “La Bielorussia non avrebbe dirottato l’aereo senza l’approvazione russa”, ha twittato Timothy Snyder, professore di storia a Yale. “Non è escluso che Mosca abbia avuto un ruolo nella vicenda. Ma la Bielorussia potrebbe anche aver agito da sola”, ha detto Artëm Šraibman, fondatore del centro di consulenza politica Sense analytics, con sede a Minsk.

Per Tatjana Stanovaja, tuttavia, i fatti del 23 maggio rischiano di alimentare ulteriormente la diffidenza di Mosca verso Lukašenko, che è sempre più legato al Cremlino per la sua sopravvivenza politica. La Russia è determinata a mantenere la Bielorussia nella sua sfera d’influenza, ma ha anche sostenuto un piano di riforme costituzionali, per la verità piuttosto vago, che dovrebbe in teoria permettere un cambio di regime a Minsk.

Alla luce delle recenti aperture della Russia verso i paesi occidentali, in vista del summit del 16 giugno a Ginevra tra Vladimir Putin e il presidente statunitense Joe Biden, le ultime mosse di Lukašenko sono state probabilmente una sorpresa sgradita per il Cremlino, rafforzando le perplessità su un leader già da tempo giudicato inaffidabile. “La leadership russa è sotto shock, ma non può mostrarlo apertamente perché deve tutelare i suoi interessi geopolitici”, afferma Stanovaja. “Finalmente cominciano a capire con chi hanno a che fare. Agli occhi del Cremlino Lukašenko è diventato un problema che presto dovrà essere affrontato”. ◆ ap

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Questo articolo è uscito sul numero 1411 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati