I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana la freelance norvegese Eva-Kristin Urestad Pedersen.

Per molti motivi Malbianco, il nuovo romanzo di Mario Desiati, non mi piace. Ho trovato perturbante la mancanza di linearità nel racconto, i continui salti da un periodo storico all’altro e da un personaggio all’altro. Sono anche sempre molto allergica ai continui riferimenti alle sofferenze psicologiche dei protagonisti di una storia e Malbianco ne è pieno. Ammetto però che Desiati lascia delle tracce profonde. Affronta un argomento complicato: la vergogna. Uno direbbe che è qualcosa che tende a diminuire con il passare del tempo, ma che succede se non è mai affrontata? Può continuare a espandersi come il malbianco, il fungo che mangia gli alberi (compresi quelli genealogici) per generazioni? Desiati dimostra quanto possa essere dannosa quella nebbia bianca di cose non dette, come un freno alla propria libertà, e io provo una compassione profonda per il protagonista, che ne ha sofferto le conseguenze. Per me Malbianco rimane comunque un libro diviso in due, con due modi diversi di raccontare una storia: uno lineare, l’altro no. E con (almeno) due storie parallele, ma solo una che arriva a una vera conclusione. Insomma, può sembrare un’opera incompiuta. Ma forse era proprio quella l’intenzione dell’autore? ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1611 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati