Il 24 settembre Patrick Martin, presidente del Medef (l’associazione degli industriali francesi) ha annunciato una grande mobilitazione per il 13 ottobre. Gli imprenditori non sono abituati ad adottare metodi di protesta sindacale. Questo dimostra che, ai loro occhi, la situazione è grave. “Dobbiamo affermare il [nostro] contributo essenziale al bene pubblico”, ha detto Martin.
La minaccia ha un nome: Gabriel Zucman, la nuova bestia nera dei ricchi. Dalla caduta del governo di François Bayrou, l’8 settembre, la proposta dell’economista Zucman di introdurre un’imposta annuale del 2 per cento sui patrimoni superiori a cento milioni di euro ha dominato il dibattito sulla nuova legge di bilancio, scatenando un’alzata di scudi che ha coinvolto molte più persone rispetto alle 1.800 che dovrebbero pagarla.
Martin ne ha fatto il suo obiettivo numero uno e la definisce una “forma di saccheggio”. “Questa tassa ci ucciderà”, esclama anche il Movimento delle medie imprese. Perfino Bernard Arnault, amministratore delegato del gruppo Lvmh (la più grande azienda francese di cui fanno parte decine di marchi della moda, del lusso e dell’editoria) ha infranto la sua consueta riservatezza. Questa tassa rientra in un “chiaro desiderio di far crollare l’economia francese”, ha dichiarato al giornale britannico The Sunday Times mettendo in discussione la “pseudocompetenza accademica” del suo ideatore, che ha descritto come un “attivista di estrema sinistra”.
Gli imprenditori che potrebbero dover pagare questa tassa si stanno innervosendo? La virulenza delle loro dichiarazioni contrasta con le precedenti reazioni tutto sommato moderate. “Siamo pronti a discutere di un aumento delle tasse”, diceva Martin nel 2024, quando l’allora primo ministro Michel Barnier aveva cominciato a mettere mano alla legge di bilancio. Non ci sono stati clamori nemmeno nel febbraio 2025, quando la tassa Zucman fu approvata a larga maggioranza dei deputati dell’assemblea nazionale grazie ai voti della sinistra e all’astensione del Rassemblement national (estrema destra). “All’epoca pensavamo che non avesse possibilità di successo”, spiega il consulente finanziario François Mollat du Jourdin. Infatti il disegno di legge è stato poi respinto dal senato a giugno. “Questa volta avverto la paura dei miei clienti”, continua.
Cercando nuove entrate
L’equazione politico-economica sembra piuttosto implacabile. Da un lato la Francia si trova ad affrontare un evidente problema finanziario, emerso con il declassamento del suo rating da parte di Fitch il 12 settembre e di Dbrs una settimana dopo. Dall’altro lato i tagli alla spesa pubblica sono politicamente difficili da far accettare, come ha dimostrato la caduta del governo Bayrou, anche se misure che portino nuove entrate nelle casse dello stato sembrano inevitabili.
Infine la tassa Zucman ha vinto la battaglia per conquistare l’opinione pubblica. La sinistra ne ha fatto un simbolo. Un sondaggio commissionato dal Partito socialista ha mostrato un sostegno schiacciante tra i francesi, con l’86 per cento degli intervistati che si è dichiarato a favore della tassa. È un’ulteriore prova del sentimento d’ingiustizia fiscale che prevale in gran parte del paese. Nelle manifestazioni sindacali del 18 settembre lo slogan “Tassate i ricchi” dominava su tutti gli altri.
Alcuni imprenditori lo riconoscono: “La disuguaglianza è aumentata significativamente negli ultimi anni e dobbiamo affrontare il problema”, afferma Armand Thiberge, fondatore della Brevo, una società specializzata in marketing e relazioni con i clienti. “ La tassa Zucman è necessaria, accetto di pagarla. È una questione di giustizia e coesione nazionale. Altrimenti rischiamo di vedere gli estremisti prendere il potere”.
La conclusione è chiara: se vuole raggiungere un accordo con i socialisti Sébastien Lecornu – nominato primo ministro il 9 settembre – dovrà aumentare le tasse ai ricchi. Tra loro, un punto sta concentrando il malcontento: la tassazione del patrimonio aziendale. “La grande novità è lì”, analizza Mollat du Jourdin. Finora le azioni possedute dagli imprenditori erano escluse dalla base imponibile. Tuttavia costituiscono la stragrande maggioranza del patrimonio degli Arnault e di altre famiglie ricche. Per questo Zucman vuole includere questo patrimonio nella sua tassa, per evitare che i ricchi paghino, in pratica, tasse relativamente inferiori rispetto agli altri. “I più ricchi oggi beneficiano di molte agevolazioni fiscali, scappatoie ed esenzioni”, aggiunge la sociologa Lorraine Bozouls. “Con il progetto Zucman le vie di fuga sembrano più limitate”.
Molti industriali si sentono presi di mira perché hanno avuto successo, mentre lo stato non è riuscito a gestire bene le proprie finanze e a usare efficacemente le tasse riscosse. La loro speranza? Seppellire la tassa Zucman, o almeno sostituirla con una misura più tollerabile. La destra e i macronisti stanno valutando diverse opzioni. Rinnovare il contributo eccezionale sui redditi alti, per esempio. O una misura che colpisca le holding, quelle cassette di sicurezza in cui i ricchissimi depositano i loro guadagni lontano dal fisco. O perfino un aumento dell’imposta fissa sui redditi da capitale. Tutto tranne una tassazione diretta dei patrimoni aziendali.
Intanto alcuni stanno valutando di lasciare la Francia. “Quasi tutti gli imprenditori stanno pensando di andarsene”, ha dichiarato al Journal du dimanche Éric Larchevêque, cofondatore di Ledger, un’azienda di criptovalute. L’avvocato Xavier Rollet concorda: “Per questa popolazione altamente mobile, andarsene non è complicato. I loro figli studiano all’estero, le loro aziende sono attive lì. Almeno il 90 per cento dei miei clienti che potrebbero essere colpiti dalla tassa ci sta riflettendo”. ◆ sm
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Questo articolo è uscito sul numero 1634 di Internazionale, a pagina 35. Compra questo numero | Abbonati