“Auspichiamo una condanna esemplare anche se, in fondo, nessun risarcimento sarà all’altezza dei danni subiti, che sono difficili da quantificare. Quello che è stato inflitto alla falda acquifera è irreparabile”. Dal retro del bar dove si è seduta, Giovanna Dal Lago non accenna a calmarsi. “I costi passati e futuri in termini sanitari, ambientali ed economici sono incalcolabili”, rincara. Accanto a lei Anna Maria Panarotto e Claudia Mazzasette annuiscono.
Le tre donne, con il gruppo Mamme no Pfas, si sono costituite parte civile nel processo cominciato nel novembre 2019 contro l’azienda petrolchimica Miteni, accusata di aver contaminato con i Pfas, composti inquinanti che non si degradano mai, le acque sotterranee del Veneto. Il giorno successivo al nostro incontro, dopo anni di udienze, il tribunale di Vicenza si pronuncerà sulla catena di responsabilità che ha provocato questo scandalo ambientale e sanitario.
“È la prima volta che si giudica penalmente un caso di inquinamento dell’acqua, speriamo che la sentenza segni una svolta per la protezione dell’ambiente. Sarà una vittoria enorme anche per i cittadini”, si augura Panarotto. In totale quasi 180 persone, sindacati, associazioni e gruppi di cittadini si sono costituiti parte civile nel processo.
Sul tavolo bianco, le tre donne mostrano le magliette che hanno indossato negli ultimi otto anni, in ogni campagna fatta per denunciare l’inquinamento da Pfas delle acque della regione, e che indosseranno il giorno della sentenza alle 9.30 per la manifestazione che hanno organizzato davanti al tribunale. Su ogni maglietta bianca sono indicati in rosso i livelli di Pfoa (acido perfluoroottanoico) trovati nel sangue dei loro figli. Andrea, il figlio di Claudia Mazzasette, ha 101,5 nanogrammi per millilitro, una quantità dodici volte superiore alla soglia di contaminazione fissata per questo inquinante eterno.
Questi dati sono stati raccolti dopo un’estesa campagna di biomonitoraggio condotta dalle autorità sanitarie del Veneto nel 2017. Sono stati prelevati campioni di sangue da tutti i giovani tra i 14 e i 29 anni, compresi i figli di Giovanna, Claudia e Anna Maria. I livelli riscontrati negli adolescenti erano stratosferici.
Segnali di allarme
“Le reazioni quando si ricevono risultati simili sono due: o ci si dispera e ci si lascia paralizzare dalla paura, oppure si reagisce, si rifiuta di accettare la notizia e si cerca di capire”, spiega Dal Lago, la cui figlia Francesca ha un livello di Pfoa nel sangue quaranta volte superiore alla soglia di contaminazione. Queste tre mamme hanno scelto la seconda opzione e si sono unite per formare il gruppo Mamme no Pfas, composto da circa trenta persone.
In seguito alla pubblicazione di dati allarmanti, le autorità regionali hanno definito una zona rossa che ora comprende 33 comuni nelle province di Vicenza, Verona e Padova, e interessa un totale di 350mila abitanti. Anna Maria Panarotto lamenta: “Quello che abbiamo scoperto nel 2017 risaliva ad almeno venti o trent’anni prima, e si sapeva. Già nel 2013 il ministero della salute aveva allertato la regione dicendo: ‘Attenzione, avete un grosso problema d’inquinamento’”.
I primi segnali di allarme erano emersi già nel 2006, quando l’università di Stoccolma coordinò un progetto europeo per rilevare la presenza di Pfas nei principali fiumi europei. In Italia si fece uno studio nel bacino del Po, da cui emergevano livelli anomali. Cinque anni dopo un rapporto italiano confermava questi dati e individuava una zona critica intorno allo stabilimento petrolchimico Miteni di Trissino, in provincia di Vicenza. Nel 2013 uno studio dell’Agenzia del Veneto per la prevenzione e la protezione ambientale attribuiva il 97 per cento della contaminazione delle acque della regione al petrolchimico.
La situazione era ancora più preoccupante se si considera che l’impianto “era stato costruito sul punto in cui nasce e si ricarica la falda acquifera più grande d’Italia”, spiega Panarotto. Ma non successe molto: nel 2014 furono aggiunti dei filtri a carboni attivi per depurare l’acqua, con poco successo, come avrebbero confermato i prelievi successivi. Nel marzo 2018 è stato dichiarato lo stato di emergenza. Nello stesso anno, l’impianto ha chiuso dopo essere fallito.
◆ Il 26 giugno 2025 la corte d’assise di Vicenza ha condannato undici dirigenti dell’ex azienda petrolchimica Miteni di Trissino, in provincia di Vicenza, per aver inquinato pesantemente le falde acquifere e gli acquedotti delle province di Vicenza, Padova e Verona. Altri quattro imputati sono stati assolti. Il tribunale ha inflitto complessivamente 141 anni di carcere, venti in più rispetto a quelli chiesti dall’accusa. Le pene vanno dai due anni e 8 mesi ai 17 anni e mezzo. La corte ha stabilito anche i risarcimenti per decine di milioni di euro a oltre trecento parti civili, tra privati ed enti pubblici. Il caso era cominciato nel 2013, quando la regione Veneto fu informata dal ministero dell’ambiente sulla presenza di Pfas (un gruppo di composti chimici sintetici molto resistenti) in concentrazioni “preoccupanti” nelle acque potabili di alcuni comuni. Allora partì anche la battaglia dei movimenti ambientalisti, in particolare del movimento delle Mamme no Pfas. La Miteni nel 2018 fallì dopo una serie di inchieste giudiziarie a causa delle sanzioni economiche per l’inquinamento da Pfas. Ansa, Afp
Con il suo grazioso centro storico acciottolato, la cattedrale neoromanica e le antiche fortificazioni, il piccolo comune di Lonigo, 16mila abitanti, si trova nel cuore della zona rossa. Qui, a circa 25 chilometri dall’ex stabilimento Miteni di Trissino, c’è l’impianto di trattamento che distribuisce acqua potabile a tutti i comuni circostanti e dove convergono le acque della falda contaminata.
L’acqua contaminata è finita con l’acquedotto anche in altri comuni in cui la falda non era stata intaccata, come Legnago, a mezz’ora d’auto da Lonigo, dove vive Claudia Mazzasette. In diverse occasioni il gruppo Mamme no Pfas ha chiesto alle autorità regionali di verificare se la zona rossa si fosse allargata, ma inutilmente. “In otto anni la parte contaminata della falda è cresciuta al ritmo di 1,2 chilometri all’anno verso il mare”, spiega Dal Lago. “Il problema è destinato a peggiorare, soprattutto perché, nonostante le nostre richieste, il sito non è stato bonificato, quindi continua a inquinare”.
Dal 2017 e dalla prima campagna di biomonitoraggio diverse ricerche si sono concentrate sui problemi di salute nella zona rossa. “Si è registrato un aumento di casi di diabete gestazionale, preeclampsia (una complicanza molto grave per le donne in gravidanza che può causare la morte del bambino e della madre), patologie della tiroide, bambini nati sottopeso o prematuri, aborti spontanei, malattie cardiovascolari, soprattutto nella zona di Padova, e problemi di salute riproduttiva”, afferma Mazzasette, che fa l’infermiera, e cita una ricerca condotta dal Servizio epidemiologico regionale del Veneto nel 2016 nei ventuno comuni più colpiti. Quello studio approfondiva le patologie “che possono essere associate ai Pfas”: un aumento del 30 per cento di tumori ai reni o ai testicoli, con un picco dell’80 per cento a Lonigo. Sono aumentati anche del 22 per cento il diabete femminile e l’ipertensione e del 19 per cento le malattie cerebrovascolari.
“È come una spada di Damocle che pende sulle nostre teste, non sappiamo cosa ci succederà né quando, cerchiamo solo di non pensarci”, dice Mazzasette, che ha scoperto recentemente di soffrire di problemi alla tiroide.
Problema mondiale
A prescindere dall’esito del processo Miteni, il gruppo Mamme no Pfas non si arrenderà. Grazie ai laboratori di sensibilizzazione organizzati nelle scuole della regione insieme a un gruppo di scienziati, hanno incontrato quasi novemila studenti.
“Il problema che affligge la nostra regione, che è piuttosto piccola, riguarda tutti: il resto d’Italia, l’Europa e il mondo”, riassume Panarotto. Durante il processo, le Mamme no Pfas hanno chiesto di testimoniare all’avvocato statunitense Robert Bilott, che ha vinto la causa contro la multinazionale DuPont, giudicata colpevole di aver contaminato l’acqua della West Virginia con i Pfas.
Sulla scia della loro battaglia, il movimento No Pfas ha preso piede in Italia. Gli attivisti hanno scritto a tutti i sindaci del Piemonte, della Lombardia, del Veneto e della Toscana chiedendogli di appoggiare una mozione presentata al parlamento italiano per la messa al bando degli inquinanti eterni. In cinquanta hanno risposto favorevolmente.
“Non esiste una pillola magica che faccia sparire i Pfas dal nostro organismo. Solo il tempo può eliminarli, e intanto continuano ad agire nel nostro corpo e nell’ambiente”, sottolinea Panarotto. “Quindi chiediamo con chiarezza di fermare la produzione di Pfas”. Nel 2018 il gruppo Mamme no Pfas aveva fatto questa richiesta al parlamento europeo a Strasburgo e poi alla Commissione europea a Bruxelles. Ma finora l’Unione europea non è riuscita a trovare un accordo per limitarne l’uso.
All’inizio del 2025 l’organizzazione ambientalista Greenpeace ha pubblicato un rapporto sull’inquinamento da Pfas in Italia. In Veneto diciannove dei venti campioni d’acqua analizzati sono risultati positivi. In totale il 79 per cento dei campioni raccolti in tutto il paese conteneva una delle 58 sostanze Pfas monitorate. Non c’è neanche una regione senza questi composti. Due mesi dopo la pubblicazione del rapporto, il governo Meloni ha adottato un decreto legge per ridurre a 20 nanogrammi per litro la presenza di quattro sostanze Pfas, tra cui Pfoa e Pfos (acido perfluoroottansolfonico), presenti soprattutto in Veneto. È un livello ancora dieci volte superiore a quello raccomandato, per esempio, in Danimarca. Il decreto deve essere approvato dal parlamento italiano.
“Questo processo non deve solo rimediare ai danni fatti, ma anche gettare le basi per un nuovo sistema produttivo, economico e sociale”, si augura Dal Lago. Il gruppo delle Mamme no Pfas riceve segnalazioni di inquinamento da tutto il paese, ma anche dalla Francia, dai Paesi Bassi e perfino dalla North Carolina, negli Stati Uniti. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1622 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati