Il 23 marzo Vladimir Putin si è finalmente vaccinato contro il covid-19. Da sei mesi il presidente russo non si stancava di elogiare il vaccino sviluppato in Russia. Lo Sputnik V, diceva, “è il migliore del mondo”. Eppure era restio a farselo inoculare, per qualche settimana ha perfino evitato di apparire in pubblico. Poi sembra aver cambiato idea. In realtà non è stato detto quale vaccino abbiano usato per il presidente. E non sono state neanche pubblicate immagini o video. Perché? “Be’ al presidente non è mai piaciuta l’idea di farsi vaccinare davanti alle telecamere”, ha detto il portavoce di Putin. L’immunizzazione segreta e ritardata di Putin è in linea con la strana storia dello Sputnik V, il primo vaccino contro il covid-19 approvato al mondo. È la storia di un successo, indubbiamente, con alcuni grossi “ma”.
Milioni di persone sono già state vaccinate con questo preparato, e più di cinquanta paesi lo hanno approvato. Immagini di luoghi lontani come l’Argentina, la Bolivia e il Venezuela mostrano casse piene di fiale accolte con euforia. Il messaggio è: il mondo ha bisogno d’aiuto, e la Russia è pronta a dare una mano. Ma non tutti si fidano ciecamente dell’offerta d’aiuto dei russi, e in nessun posto la sfiducia è forte come in Europa. Perfino in Russia lo Sputnik V è visto con un certo scetticismo. Pesa il fatto che la sua introduzione non è stata totalmente trasparente. Un po’ come la vaccinazione di Putin: bisogna credere a qualcosa senza poterla vedere. Il risultato è che lo Sputnik V è diventato una questione di fede, come se le fiale non fossero piene di vaccino ma di un cocktail di politica e medicina.
Lo Sputnik V è stato messo a punto dal Centro nazionale di ricerca epidemiologica e microbiologica Gamaleya, alla periferia di Mosca. Lo dirige da più di vent’anni Aleksandr Ginzburg, un allegro biologo dalla risata gorgogliante. Non è facile ottenere il permesso d’incontrarlo nel suo studio rivestito di legno: il centro risponde al ministero della salute, che raramente autorizza l’accesso a persone esterne. Il Cremlino, inoltre, ha messo in guardia dalle “provocazioni” dei mezzi d’informazione occidentali. Ma il regista statunitense Oliver Stone, che è amico di Putin, a dicembre ha fatto un salto al Gamaleya e si è vaccinato con lo Sputnik V.
Ginzburg non condivide i timori del ministero. Grazie a dio, dice, ora lo Sputnik V sta ricevendo un’accoglienza più positiva all’estero, sia sui mezzi d’informazione sia negli ambienti scientifici. Lui si è vaccinato un anno fa. Il centro ha cominciato a sviluppare il suo vaccino a vettore virale, costituito da due componenti, già nel febbraio del 2020. Sono stati usati virus inattivati (degli adenovirus) per portare nelle cellule del corpo umano il materiale genetico del coronavirus.
Il paziente da Roma
Il Gamaleya aveva esperienza di vaccini a vettore virale, perché ne aveva già sviluppato uno per l’ebola. Ha dovuto semplicemente riempire il vettore con un nuovo carico. I ricercatori hanno ottenuto il materiale virale del covid-19 a metà marzo del 2020 da una clinica di Mosca, dov’era in cura un paziente che aveva contratto l’infezione a Roma.
Ginzburg dice di essersi vaccinato il 30 marzo 2020, quando erano ancora in corso gli esperimenti sugli animali. “Noi dello staff ci siamo vaccinati prima delle scimmie, subito dopo i topi e insieme ai criceti e ai porcellini d’India”. La decisione di farsi somministrare il vaccino in una fase così precoce non era azzardata come la fanno sembrare le parole di Ginzburg. Il Gamaleya aveva già sviluppato un vaccino paragonabile per un coronavirus simile, quello che provoca la mers, responsabile dell’epidemia del 2012 in Arabia Saudita. E quel vaccino, spiega Ginzburg, era già stato testato sugli esseri umani. Sostanzialmente la mers ha fornito ai ricercatori del Gamaleya un vantaggio iniziale per lo sviluppo di un vaccino contro il covid-19.
A guidare il gruppo di ricerca c’era Denis Logunov, un robusto studioso di 42 anni. A metà marzo Vladimir Putin lo ha elogiato personalmente per il suo lavoro in una videochiamata trasmessa in tv. “Voglio vedere quest’uomo e voglio che lo veda l’intero paese”, ha detto il presidente. Logunov è chiaramente risentito per le critiche che lo Sputnik V ha attirato all’estero. Gli attacchi sono stati particolarmente accesi nel periodo in cui la Russia l’ha approvato, anche se i risultati della prima e seconda fase della sperimentazione non erano ancora stati pubblicati e la sperimentazione della fase tre non era neanche cominciata. Sembrava che la Russia stesse imboccando una scorciatoia. “È stata un’autorizzazione d’emergenza”, dice Logunov. I vettori usati per il vaccino erano ben collaudati, una grossa differenza rispetto alle nuove tecnologie usate da alcuni vaccini concorrenti, come quella a mRna della Biontech e della Moderna.
Logunov giudica ipocrite le critiche dall’estero. “Sono offensive”, dice. “Conducono esperimenti sugli esseri umani, ma accusano noi di farlo, anche se usiamo componenti che sono state testate centinaia di migliaia di volte”. Il centro Gamaleya si considera un David in lotta contro il Golia dell’industria farmaceutica internazionale. Sente di essere trattato ingiustamente. “Posso capire lo scetticismo”, aggiunge Ginzburg. “Dall’esterno il processo è apparso decisamente affrettato, come se stessimo cercando di arrivare primi. Questo può aver inciso. Ma tutto è stato fatto rispettando le norme per l’approvazione e sullo sfondo di una realtà che era simile a una situazione di guerra”.
Solo nel febbraio del 2021, sei mesi dopo l’approvazione del vaccino, i risultati della terza fase sono apparsi sulla rivista The Lancet. I test indicavano che lo Sputnik V ha un’efficacia del 91,6 per cento, superiore a quella del vaccino sviluppato dalla AstraZeneca. Da allora le critiche sono diminuite sensibilmente, ma non sono del tutto scomparse. Alcuni ricercatori chiedono di avere accesso ai dati dei test clinici, altri trovano delle incongruenze tra il numero dei partecipanti ai test e il calcolo dell’efficacia, altri ancora ipotizzano manipolazioni. Logunov respinge tutte queste accuse.
Kirill Dmitriev è l’uomo che gestisce la commercializzazione dello Sputnik V in tutto il mondo. Ex banchiere, ha studiato a Stanford e a Harvard, negli Stati Uniti. Il suo rapidissimo russo è infarcito di inglese. Descrivendo i dubbi degli europei Dmitriev – che parla su Zoom dal suo ufficio di Mosca – usa i termini anxiety e overthinking. È l’amministratore delegato del Russian direct investment fund (Rdif), il fondo sovrano russo che ha investito nello sviluppo e nella produzione del vaccino. Ha ottime conoscenze: sua moglie lavora con Katerina Tichonova, la figlia di Putin, che è a capo di una fondazione che promuove l’innovazione. Se il Gamaleya è il luogo di nascita del vaccino contro il covid-19, Dmitriev è la persona che lo ha battezzato, perché è stato lui a proporre il nome Sputnik V. All’inizio si chiamava Gam-Covid-Vac, ed è indicato ancora così nei certificati di vaccinazione russi. La V sta per “vaccino”, ma anche per “vittoria”. E Sputnik, ovviamente, è un riferimento al trionfo di Mosca nella corsa alla conquista dello spazio. Era il nome del primo satellite lanciato in orbita dall’Unione Sovietica nel 1957. “Gli statunitensi furono sorpresi nel sentire il bip bip dello Sputnik”, ha detto Dmitriev nel giugno del 2020. “E lo stesso succederà con questo vaccino. La Russia ci sarà arrivata per prima”.
Un varco nell’Unione
Questa retorica smaccata non ha aiutato lo Sputnik V all’estero. Oggi Dmitriev è meno insistente. “Abbiamo sottovalutato quanto il vaccino sarebbe stato associato a una corsa”. Dice che in una crisi di questa gravità la cooperazione è più importante della competizione. Attualmente i rapporti sono particolarmente difficili con l’Unione europea. “Bruxelles ha l’impressione che lo Sputnik V stia facendo tutto il possibile per aprirsi un varco nell’Unione. Come se la Russia ne avesse un bisogno assoluto. Ma in realtà è vero il contrario: è l’Europa ad avere bisogno dello Sputnik V”, dice Dmitriev. La Russia, aggiunge, deve pensare innanzi tutto a sé stessa e ha moltissimi altri partner.
Secondo Dmitriev dietro le riserve nei confronti del vaccino russo ci sono le grandi case farmaceutiche e i loro gruppi d’influenza: “Hanno cercato di uccidere lo Sputnik V fin dall’inizio. Prima hanno sostenuto che avevamo rubato la ricetta, poi che non lo avevamo registrato correttamente, poi che era inefficace o pericoloso. E ora che tutte queste obiezioni sono state spazzate via, arriva l’argomento finale: è un vaccino russo”. I politici di Bruxelles aspettano di capire se l’Agenzia europea per i medicinali (Ema) autorizzerà il vaccino. “È sconcertante che la Commissione europea non abbia ancora avviato i negoziati per l’acquisto dello Sputnik V”, dice Dmitriev. E aggiunge che l’Europa aveva cominciato le trattative con gli altri produttori prima che fosse concessa l’autorizzazione.
Finora gli unici paesi dell’Unione europea che hanno autorizzato lo Sputnik V sono l’Ungheria e la Slovacchia, perché hanno deciso di agire per conto loro. L’autorizzazione per tutta l’Unione richiederà ancora dei mesi. L’Ema ha cominciato la rolling review – l’analisi dei dati man mano che arrivano – solo all’inizio di marzo. Eppure Putin sostiene che la Russia abbia avanzato la richiesta di revisione il 21 gennaio. L’Ema nega. Sembra che la richiesta non fosse stata presentata correttamente. Ad aprile gli esperti dell’agenzia andranno in Russia per visitare gli impianti di produzione e gli ospedali, e per esaminare i dati clinici. Ginzburg ha incaricato dieci ricercatori del Gamaleya di collaborare con la delegazione dell’Ema.
“La Russia ora deve consegnare dati sufficienti e permettere un riesame indipendente”, dice il parlamentare europeo Peter Liese, portavoce per la politica sanitaria del Partito popolare europeo. È molto scettico sulla rapidità con cui è stato approvato il vaccino in Russia, nell’agosto del 2020. “Non è stata un’approvazione, è stato un falso”, dice. Più durerà il processo di approvazione, meno peso avrà il ruolo dello Sputnik V nella lotta alla pandemia in Europa. Secondo Thierry Breton, commissario per il mercato interno, l’Europa “non ha assolutamente bisogno dello Sputnik V”, perché entro l’estate l’Unione avrà dosi di vaccino a sufficienza da altri produttori. Liese non è d’accordo: “Dobbiamo prendere tutto ciò che è disponibile, purché soddisfi i criteri dell’Ema”.
Ma i russi sarebbero in grado di assicurare le forniture? “Non abbiamo dosi a sufficienza per l’America Latina, l’Africa e l’Asia,” dice Dmitriev. “Ma dopo giugno riusciremo a fornire dosi di vaccino per 50 milioni di persone nell’arco di tre o quattro mesi”. Se il vaccino sarà approvato, la sola Germania potrebbe produrre decine di milioni di dosi entro la fine dell’anno, sostiene Dmitriev. L’azienda bavarese R-Pharm assumerebbe la direzione, con altre due aziende potenzialmente in grado di unirsi.
L’ottava consegna
Ma se l’Europa esita, in altre parti del mondo lo Sputnik V ha ottenuto un grande successo. Una regione, in particolare, è diventata il centro della diplomazia dei vaccini: l’America Latina. Mentre a Mosca Putin elogiava Logunov, il creatore dello Sputnik V, un airbus A330-200 delle Aerolineas Argentinas atterrava a Buenos Aires. Al suo arrivo c’erano due ministri del governo argentino, insieme a un consigliere del presidente Alberto Fernández. L’aereo trasportava 500mila dosi di Sputnik V, ed era l’ottava consegna.
Da dicembre l’Argentina ha ricevuto 3,3 milioni di dosi del vaccino russo, parte dei venti milioni ordinati da Buenos Aires. Le consegne sono state puntuali e a un prezzo corretto: circa dieci dollari per dose. Questo fa dell’Argentina il mercato più importante per lo Sputnik V, e un gigantesco laboratorio. L’America Latina è stata colpita con particolare violenza dalla pandemia, e l’aiuto di Mosca è benvenuto. Anche Brasile, Messico, Bolivia, Venezuela, Paraguay e Nicaragua hanno ordinato lo Sputnik V. I governi più a sinistra, in particolare, hanno avuto poche esitazioni.
Il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador ha chiamato personalmente Putin il 25 gennaio e ha ordinato 24 milioni di dosi. Il suo paese ha uno dei tassi di letalità per il covid-19 (il numero di morti in rapporto alle persone infette) più alti del mondo. Il presidente brasiliano
Jair Bolsonaro, che con il suo negazionismo ha trasformato il paese in un autentico epicentro del covid-19, evita il vaccino russo per ragioni ideologiche. Ma diversi stati brasiliani governati dai partiti d’opposizione hanno ordinato 37 milioni di dosi, in collaborazione con il ministero della salute, anche se in Brasile lo Sputnik V non è stato neanche autorizzato.
Negli Stati Uniti il dipartimento della salute ha introdotto nel rapporto annuale del 2020 una sezione intitolata “Combattere le influenze nefaste nelle Americhe”. Il rapporto dichiarava che le iniziative “per convincere il Brasile a rifiutare il vaccino russo” hanno avuto successo. Non è chiaro quali argomenti siano stati usati in queste iniziative, e l’amministrazione Bolsonaro non ha commentato.
Ma c’è un paese che vorrebbe ricevere più aiuto da Mosca: la Russia. Mentre si esaltano le esportazioni dello Sputnik V, la campagna di vaccinazione interna procede a rilento. Mancano non solo le dosi, ma anche le persone che vogliono vaccinarsi. La città di Velikij Novgorod è un esempio. A un primo sguardo, l’antico centro con la sua cittadella e le cupole dorate non sembra sfiorato dal covid. Negozi, ristoranti, musei e teatri sono tutti aperti; le mascherine sono una rarità. Come altrove nel paese, gran parte delle misure per combattere la diffusione del virus sono sospese da un bel po’. La Russia sembra mantenere l’ingannevole convinzione di essere riuscita a gestire con successo la pandemia.
Marija Grenz, 41 anni, è stata una delle prime in città a vaccinarsi. Era settembre, e in quel periodo i medici, categoria a cui appartiene, avevano la priorità. “Ho avuto paura come se anch’io stessi volando nello spazio”. Racconta che, a parte qualche linea di febbre dopo la seconda dose, gli effetti collaterali sono stati minimi. Ora sta organizzando la campagna di vaccinazione della città.
Negli ultimi anni i rapporti tra Cina e Brasile non sono stati ottimi. Più di una volta il presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha accusato Pechino di voler creare una rete di sorveglianza globale esportando la tecnologia 5g sviluppata dall’azienda Huawei, e si è schierato apertamente con il presidente statunitense Donald Trump nella guerra tecnologica in corso tra le due potenze. “Ma la pandemia ha cambiato la situazione”, scrive il New York Times. Ora il Brasile, uno dei paesi con il maggior numero di contagi e di morti da covid-19, ha un disperato bisogno di vaccini, e la Cina si è offerta di dare una mano in cambio di politiche più favorevoli sul 5g. “A febbraio il ministro delle comunicazioni brasiliano, Fábio Faria, è andato a Pechino per incontrare gli amministratori della Huawei, e ne ha approfittato per chiedere vaccini. Due settimane dopo il governo brasiliano ha annunciato le nuove regole per l’asta delle licenze sul 5g, e si è scoperto che l’azienda cinese, che in precedenza sembrava essere esclusa, potrà partecipare”.
Intanto Cuba potrebbe diventare il primo paese dell’America Latina a sviluppare un vaccino. I test clinici per studiare l’efficacia dei cinque preparati in via di sperimentazione nell’isola sono in fase avanzata, in particolare il Soberana 02 e l’Abdala (che prende il nome da un poema patriottico del rivoluzionario cubano José Martí). E se tutto procederà senza intoppi, la speranza è di produrre cento milioni di dosi entro la fine dell’anno. Per un paese che è sotto embargo e che ha sempre difeso le conquiste del suo sistema sanitario, sarebbe un grande successo politico e d’immagine. L’11 aprile il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha annunciato che, in accordo con le autorità cubane, il Venezuela produrrà in un laboratorio di Caracas due milioni di dosi al mese del vaccino Abdala. E il ministro venezuelano della sanità Carlos Alvarado ha confermato che restano validi gli accordi per avere lo Sputnik V dalla Russia e il Sinopharm dalla Cina. ◆
Poco più di settemila abitanti hanno ricevuto almeno una dose di vaccino, cioè meno del 5 per cento della popolazione adulta di Velikij Novgorod. “Non è molto,” dice Grenz. Mosca ha chiesto di raggiungere il 60 per cento entro la fine di giugno. Ma riuscirci non sarà facile, e sulla sua strada ci sono molti ostacoli. A marzo al policlinico sono finiti i vaccini per chi stava ricevendo la prima dose. Uno dei due frigoriferi era completamente vuoto e la nuova consegna era prevista due giorni dopo. Significava che il vaccino poteva essere somministrato solo a chi si presentava per la seconda dose. Un uomo deluso è riuscito a fatica a trattenere la rabbia mentre se ne andava senza la sua iniezione.
Irina Istomina, viceministro della salute per la regione di Novgorod, parla di un “ritardo già annunciato nelle consegne”, e ribadisce che i vaccini non mancano. Di recente Putin ha parlato in una videoconferenza della necessità di aumentare la produzione. Secondo il presidente, la Russia finora è riuscita a produrre dosi sufficienti per venti milioni di persone. Il ministro dell’industria ha promesso che altri 17 milioni di dosi saranno prodotte ad aprile. Ma Dmitriev nutre molte speranze nella produzione all’estero, soprattutto in India. Entro la fine dell’anno, 700 milioni di persone dovranno essere vaccinate con lo Sputnik V.
Mancanza di persone
Ma il problema maggiore sono le persone che non vogliono vaccinarsi. Secondo un sondaggio del Centro demoscopico indipendente Levada, solo il 30 per cento degli intervistati è disposto a farsi vaccinare con lo Sputnik V. In parte questo è dovuto al fatto che il Cremlino per mesi ha cercato di ridimensionare il pericolo rappresentato dal virus.
I mezzi d’informazione di stato ignorano completamente il fatto che dall’inizio della pandemia sono morte 465mila persone più del previsto. Anche le varianti altamente contagiose del virus passano quasi sotto silenzio. E questo, dice Ginzburg, succede sebbene lo Sputnik V si sia dimostrato efficace contro la cosiddetta variante inglese.
Quasi tutti i paesi dell’Africa dipendono dal meccanismo di solidarietà Covax, l’iniziativa dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per assicurare vaccini gratis al 20 per cento degli abitanti di 92 paesi poveri. Ma il Covax non basta a coprire la “grottesca” disparità d’accesso ai vaccini tra i paesi ricchi e quelli poveri, come ha fatto notare il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus. Nel continente africano le Seychelles hanno immunizzato il 68 per cento della popolazione usando i preparati della Sinopharm e dell’AstraZeneca, gli stessi che il Marocco ha somministrato in tempi brevissimi al 12 per cento della popolazione. In tutti gli altri paesi del continente sono state vaccinate percentuali minime della popolazione. Secondo l’Economist l’Africa finirà di vaccinarsi nel 2023, con un ritardo che avrà effetti disastrosi per l’economia e la società.
Per uscire dallo stallo il Sudafrica e l’India, con il sostegno di un centinaio di paesi in via di sviluppo, chiedono da mesi all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) di approvare una sospensione temporanea dei brevetti sui vaccini, sulle cure e sul materiale sanitario contro il covid-19, almeno finché nel mondo non verrà raggiunta l’immunità di gregge. La proposta finora è stata bloccata dai paesi occidentali. Come spiega il quotidiano sudafricano Business Day, a opporsi sono le grandi case farmaceutiche: è stata la promessa di quei brevetti, dicono le aziende, a spingerle a investire miliardi di dollari in un vaccino contro il covid-19. Le Monde fa notare che la concessione delle licenze non sarebbe una soluzione magica per l’Africa, continente che importa il 99 per cento dei vaccini e che conta in tutto sei unità di produzione (tre nel Maghreb, una in Senegal, una in Egitto e una in Sudafrica).
Intanto i paesi africani continuano a dipendere dalla “generosità” di Russia e Cina, scrive The Africa Report, ma anche dell’India, che usa le sue competenze in campo sanitario per avere più peso politico nel continente. ◆
In Russia non c’è il rischio che la gente salti la fila per farsi vaccinare prima. Di solito chi vuole riesce a procurarsi in fretta un appuntamento, a prescindere dall’età o dalle sue condizioni di salute. E in nessun posto la fila è corta come a Mosca. Le autorità sanitarie hanno allestito un centro vaccinale sotto i soffitti di vetro dei celebri e lussuosi magazzini Gum, sulla piazza Rossa.
È mezzogiorno, e in sottofondo gli altoparlanti diffondono musica jazz. Giovani volontari accolgono con entusiasmo le poche persone che si presentano. Non occorre nessuna registrazione, solo un documento e un numero di cellulare. Ivan Sacharov, vent’anni, studente di economia, dice che i suoi amici sono divisi. Metà di loro non si fida dello Sputnik V e teme gli effetti collaterali. “Io non voglio contagiare mia nonna, perciò mi faccio vaccinare,” aggiunge. Sacharov chiude per un attimo gli occhi mentre il vaccino gli viene iniettato nel braccio, e poi riceve in premio un gelato.
La prima dose del vaccino è stata somministrata a 6,3 milioni di russi, e 4,3 milioni hanno ricevuto anche la seconda. Sono numeri sorprendentemente bassi considerando che il paese ha lanciato la sua campagna vaccinale molto presto. Al ritmo attuale serviranno tre anni prima che metà della popolazione abbia ricevuto almeno una dose di vaccino.
Si potrebbe pensare che i ricercatori del centro Gamaleya siano delusi dai loro connazionali. Ma Ginzburg la prende con filosofia: “Ci vuole tempo perché le persone maturino questa decisione,” dice.
È come se non solo Putin, ma anche i russi considerassero lo Sputnik V una conquista capace di promuovere l’immagine del paese nel mondo piuttosto che un contributo alla loro salute. Una cosa che è meglio osservare e ammirare a grande distanza, proprio come la missione del satellite negli anni cinquanta. Bisogna dire che il nome è azzeccato. ◆ gc
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Questo articolo è uscito sul numero 1405 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati