Ad Axum, la città santa dell’Etiopia, i corpi di persone uccise con armi da fuoco sono rimasti in strada per giorni. Di notte gli abitanti sentivano le iene accanirsi sui cadaveri di persone che conoscevano, ma che non potevano seppellire perché i soldati eritrei glielo impedivano. Questi ricordi tormentano un diacono della più importante chiesa di Axum, la cattedrale di Nostra signora Maria di Sion, un luogo di culto dove i fedeli cristiani ortodossi etiopi credono sia custodita l’Arca dell’alleanza. Dopo che nella regione del Tigrai, nel nord dell’Etiopia, sono stati lentamente ripristinati i collegamenti telefonici, il diacono e altri testimoni sono riusciti a fornire all’Associated Press (Ap) un resoconto dettagliato di quello che potrebbe essere stato il peggior massacro in tre mesi di conflitto.

Per settimane sono circolate voci sul fatto che ad Axum alla fine di novembre fossero accadute cose terribili, con centinaia di persone uccise. Ma il Tigrai era tagliato fuori dal mondo (per ordine del governo etiope, che aveva imposto il blocco delle comunicazioni all’inizio di novembre) e i giornalisti non potevano entrare, perciò era impossibile verificare quelle notizie.

Al telefono il diacono – che ha chiesto di restare anonimo perché si trova ancora ad Axum – racconta di aver aiutato a contare i cadaveri, di aver raccolto le carte d’identità delle vittime e di aver assistito alla loro sepoltura nelle fosse comuni. Stima che quel fine settimana siano state uccise circa ottocento persone nel luogo di culto e in giro per la città, e che in totale ad Axum siano morti in migliaia. Le uccisioni sono andate avanti almeno fino ai primi dieci giorni di febbraio. “E nelle aree rurali la situazione potrebbe essere molto più grave”, avverte il diacono.

Le atrocità nel Tigrai sono state commesse nell’ombra. Il 4 novembre, mentre il resto del mondo era concentrato sulle elezioni negli Stati Uniti, il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha lanciato un’offensiva contro i combattenti del Fronte popolare di liberazione del Tigrai (Tplf). Abiy aveva accusato il Tplf, i cui leader hanno governato l’Etiopia per quasi trent’anni prima di lui, di aver attaccato l’esercito federale. I tigrini, invece, hanno parlato di un’azione di autodifesa al culmine di mesi di tensioni. Mentre il mondo chiedeva a gran voce di poter entrare nel Tigrai per fare luce sui possibili crimini compiuti dai due schieramenti e consegnare gli aiuti a milioni di persone che soffrivano la fame, Abiy ha continuato a respingere quelle che considerava “interferenze” esterne. Alla fine di novembre ha proclamato la vittoria, dichiarando che nessun civile era stato ucciso. Il suo governo inoltre nega la presenza nel paese di migliaia di soldati arrivati dall’Eritrea, un paese contro il quale il Tplf ha combattuto a lungo.

La versione ufficiale di Addis Abeba si è incrinata man mano che sono emerse testimonianze come quella del diacono. Il 17 febbraio il ministero degli esteri etiope ha ammesso che “stupri, saccheggi e uccisioni di massa spietate e intenzionali” possono accadere in un conflitto in cui “molti detengono le armi illegalmente”. Nella sua dichiarazione ha accusato i leader tigrini di aver reso la regione “vulnerabile” e ha promesso di indagare sui fatti più gravi. Non ha fatto riferimenti ai soldati eritrei.

Un posto simbolico

Con le sue antiche rovine e le sue chiese, Axum è un luogo di grande importanza per i cristiani etiopi. “Attaccare Axum significa attaccare prima di tutto l’identità dei tigrini ortodossi e, in secondo luogo, quella di tutti i cristiani ortodossi etiopi”, afferma Wolbert Smidt, uno storico tedesco esperto dell’area. In un anno normale, il 30 novembre migliaia di fedeli si sarebbero radunati nella chiesa di Nostra signora Maria di Sion per celebrare il giorno in cui, secondo le credenze locali, l’Arca dell’alleanza fu portata in città dopo essere scomparsa da Gerusalemme.

Ma quest’anno è stato diverso: nei giorni precedenti alla ricorrenza, mentre erano in corso le funzioni religiose tipiche di questo periodo, la chiesa aveva offerto rifugio alle persone scappate dai combattimenti in altre parti del Tigrai. I soldati eritrei ed etiopi erano arrivati ad Axum più di una settimana prima, annunciandosi con pesanti bombardamenti. E il 28 novembre i soldati eritrei sono tornati in forze per dare la caccia ai membri di una milizia locale che li aveva attaccati in città e in alcune comunità limitrofe. Il diacono racconta che i soldati hanno fatto irruzione nella chiesa, hanno radunato e trascinato fuori i fedeli, e hanno sparato a quelli che cercavano di scappare. “Sono riuscito a fuggire per un pelo, insieme a un prete”, ricorda. “Per strada si sentiva sparare da tutte le parti”. Il diacono e il prete sono corsi a nascondersi insieme ad altre persone, inciampando su morti e feriti. La maggior parte delle vittime è stata uccisa quel giorno, afferma il diacono, ma sparatorie e saccheggi sono proseguiti anche il giorno dopo.

Il rapporto
Serve un’inchiesta

◆ Il 26 febbraio 2021 l’ong Amnesty international ha pubblicato un rapporto sul massacro di Axum basato sui racconti di 41 testimoni e sopravvissuti, raccolti in gran parte tra i profughi del campo di Hamdayet, in Sudan. L’uccisione di centinaia di civili etiopi da parte dei soldati eritrei è descritta come “coordinata e sistematica”, con l’obiettivo di “terrorizzare e piegare la popolazione”, cosa che lo rende un possibile crimine contro l’umanità. Il governo di Addis Abeba – i cui soldati hanno lanciato un’offensiva nel Tigrai con il sostegno di alcune milizie e dei soldati eritrei – contesta l’affidabilità delle fonti di Amnesty international, ma ha promesso di aprire un’inchiesta.


“Uccidevano le persone che uscivano dalla chiesa per tornare a casa o andavano da una casa all’altra, solo perché erano per strada”, racconta ad Ap un altro testimone, il docente universitario Getu Mak, che si trovava in città per un breve soggiorno. “È stato orribile”. Getu Mak ha assistito alle uccisioni dalla finestra del suo albergo, e quando la situazione si è calmata è uscito. “C’erano cadaveri quasi a ogni angolo di strada”, ha detto. “In ogni casa si sentiva piangere”.

Un altro testimone, che chiede di restare anonimo per paura di rappresaglie, dichiara che i soldati hanno ucciso un uomo nella sua casa vicino alla chiesa. “Cosa posso dirvi? Sono morte tante persone”, dice l’uomo, che è scappato a Mekelle, il capoluogo del Tigrai.

Dopo la strage c’è stato un periodo di tensione, in cui i soldati vagavano per le strade e le famiglie si mettevano in cerca dei loro cari. Di notte le iene scendevano dalle colline circostanti. “Ho visto un carro trainato da cavalli che trasportava una ventina di cadaveri verso la chiesa, ma i soldati eritrei lo hanno fermato e hanno ordinato di gettare di nuovo i cadaveri per strada”, racconta Getu Mak. Anche in altre parti del Tigrai ci sono testimoni che affermano di non aver potuto seppellire i cadaveri. I soldati gli dicevano: “Nessuno ha pianto i nostri combattenti. Perché dovremmo permettervi di piangere i vostri?”.

Quando i soldati eritrei hanno lasciato la città, racconta il diacono, gli abitanti si sono organizzati per seppellire i cadaveri. “Non abbiamo potuto celebrare dei funerali come si deve”, spiega. “Li abbiamo seppelliti tutti insieme”, in fosse comuni.

Tra le vittime c’erano degli sfollati arrivati da altre parti del Tigrai, e nessuno ad Axum li conosceva. Le loro carte d’identità ora sono conservate nelle chiese, in attesa che i familiari vengano a chiedere loro notizie. Gli abitanti di Axum, riferisce il diacono, sono convinti che i soldati eritrei abbiano voluto vendicarsi per la guerra di confine che ha contrapposto per vent’anni Etiopia ed Eritrea, e che si è conclusa quando Abiy è diventato primo ministro.

Mhretab, 39 anni, arrivato poche settimane fa negli Stati Uniti, accusa la polizia federale etiope di non aver fatto niente per fermare i soldati eritrei. “Gli dicevo: ‘Siete etiopi, stanno distruggendo le nostre città. Perché?’. E loro rispondevano: ‘Cosa possiamo farci? Le cose non dovevano andare così. Sono ordini che arrivano dall’alto’”.

Il diacono è convinto che, nella caccia ai combattenti del Tplf, i soldati eritrei abbiano ucciso migliaia di persone anche intorno ad Axum. Getu Mak concorda e racconta che un suo zio è scampato a uno scontro nelle zone rurali. Il diacono non è riuscito a visitare quei villaggi. Continua a lavorare nella chiesa, dove le funzioni religiose si svolgono regolarmente. “Proteggiamo la chiesa”, dice. “Non siamo armati. Ci limitiamo a osservare. E a pregare perché Dio ci protegga”. ◆ gim

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1399 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati