In Mali il 6 giugno, la Tabaski, la festa islamica del sacrificio, ha coinciso con un altro evento significativo: l’annuncio della fine della missione del gruppo paramilitare russo Wagner. Dopo aver lavorato per tre anni al fianco delle autorità nella lotta contro il terrorismo e l’insicurezza, la milizia fondata da Evgenij Prigožin non sarà più presente nel territorio maliano. A prenderne automaticamente il posto sarà l’Africa corps, un’organizzazione militare nata dopo la morte di Prigožin nell’agosto 2023 e sostenuta da Mosca.

Il messaggio è chiaro: anche se cambia faccia, la Russia resta in Mali. Questo passaggio di consegne, però, avviene mentre aumentano gli attacchi terroristici, in particolare contro le basi militari maliane. Questo getta un’ombra sul presunto bilancio positivo sbandierato dalla Wagner e solleva dei dubbi su cosa ci si possa aspettare dall’Africa corps.

Ammettere il fallimento

Il passaggio di consegne è presentato come una transizione pianificata da tempo. Ma è difficile non vedere un legame con la ripresa degli attacchi jihadisti, in particolare di quelli del Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (Gsim), affiliato ad Al Qaeda. Da questo punto di vista la partenza della Wagner può essere interpretata come l’ammissione di un fallimento o, almeno, come la necessità di adattare le forze a un nemico diventato più temibile. Perché bisogna ammetterlo: la cooperazione militare con la Wagner non ha reso il Mali più sicuro. I recenti attacchi alle basi di Dioura, Boulikessi, Timbuctù e Sikasso ne sono la prova. La riconquista della città di Kidal resta un evento importante e simbolico per le autorità di transizione maliane, ma non nasconde i limiti della strategia adottata finora, basata unicamente sulla forza militare.

A complicare la situazione, ci sono i gravi crimini commessi contro i civili sospettati a torto di collaborare con i terroristi. In un clima del genere, la Wagner ha permesso alla giunta guidata dal colonnello Assimi Goita di rafforzare la sua posizione autoritaria e antidemocratica, affidandosi a partner che non hanno riguardo per i diritti umani.

È difficile immaginare che l’Africa corps possa fare meglio della Wagner. Il contesto resta teso e la sfida per la sicurezza è complicata dalla pericolosa confusione tra jihadisti e popolazioni civili. Questa confusione alimenta la frustrazione e contribuisce a ingrossare le fila dei gruppi armati. Inoltre, a differenza della Wagner, i combattenti dell’Africa corps fanno capo direttamente al ministero della difesa russo. Questo legame gerarchico più stretto con Mosca potrebbe ridurre il margine di manovra di Bamako e aumentare l’ingerenza russa negli affari maliani.

Tutto questo mette in discussione la retorica sovranista del colonnello Goita e dei suoi compagni. Tra il 2013 e il 2021 si poteva ancora sostenere che la presenza francese in Mali era una nuova forma di colonialismo, ma oggi dovremmo chiederci se il paese non stia andando incontro a un’altra forma di tutela, questa volta russa, forse più duratura.

In ultima analisi la tragedia potrebbe essere non tanto la presenza della Wag­ner o dell’Africa corps, ma piuttosto l’assenza di alternative strategiche per i paesi africani. Se l’unica opzione è ancora scegliere tra est e ovest per designare il proprio “padrone”, questo la dice lunga sullo stallo politico e istituzionale in cui si trovano gli africani. ◆ adg

Boubacar Sanso Barry è uno dei piùnoti giornalisti guineani. Dirige il sito Ledjely.com.

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Questo articolo è uscito sul numero 1618 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati