Se il piano del presidente statunitense Donald Trump per la fine della guerra a Gaza va come previsto, sarebbe la peggiore sconfitta nella storia della lotta armata palestinese. Ricorda il 1982, quando l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) fu costretta a lasciare Beirut dopo l’invasione israeliana del Libano. Allora l’Olp riuscì a riorganizzarsi grazie al sostegno del mondo arabo e internazionale. Oggi Hamas dovrebbe lasciare il territorio palestinese e si troverebbe isolato. Forse l’unico gesto di orgoglio sarebbe ammettere la sconfitta e chiedere perdono ai palestinesi per le sofferenze causate dai suoi attacchi del 7 ottobre 2023.
In termini politici, i palestinesi sono i principali sconfitti della guerra. Il crescente riconoscimento internazionale dello stato di Palestina per ora resta un gesto simbolico: serviranno anni per trasformarlo in realtà. Ciò che è evidente oggi è la perdita del diritto alla resistenza armata, che Hamas ha sempre rivendicato per giustificare la sua lotta. Se il piano di Trump andrà avanti, l’uscita definitiva di Hamas dalla scena politica palestinese sarà inevitabile. Mentre le clausole sulla gestione di Gaza dopo la guerra equivalgono a un ritorno al sistema dei mandati coloniali di inizio novecento.
Il governo di estrema destra di Benjamin Netanyahu potrà forse vantare una vittoria con una parte del suo elettorato, ma politicamente Israele è più isolato che mai. La vera sfida per i palestinesi, ora, è trasformare il consenso simbolico in un risultato concreto: consolidare il riconoscimento dello stato palestinese, costruire alleanze, e impedire che le decisioni siano prese da una sola fazione. Soprattutto, non diventare strumenti delle potenze straniere. Qualunque sia il destino del “piano di Trump”, i palestinesi oggi hanno un compito urgente: rivedere la storia della loro lotta politica e tracciare una nuova visione per il futuro. ◆ cat
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Questo articolo è uscito sul numero 1635 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati