Non so se l’attore Christoph Waltz, star del film Frankenstein, sia un uomo taciturno, ma non aveva molto da dire quando ha partecipato alla conferenza stampa del festival del cinema di Venezia. Waltz ha pronunciato solo poche parole, di cui le prime quattro sono state “Cgi is for losers” (“Le immagini generate al computer sono roba da perdenti”). Poi, alla domanda su come faccia in questi “tempi mostruosi” ad avere ancora speranza, ha risposto: “Non ne ho”. Waltz non è l’unico ad averla persa in un mondo che sembra esaltare bugiardi, truffatori e predatori sessuali. È difficile essere ottimisti quando da quasi due anni assistiamo a un genocidio in diretta e non c’è giustizia all’orizzonte. Nessuna prospettiva di pace; solo consulenti ben pagati che preparano programmi di pulizia etnica per permettere la costruzione di una “Gaza Riviera”.

Da palestinese britannica il mio invito è: continuate a schierarvi con i palestinesi (oppure cominciate a farlo). La situazione a Gaza e in Cisgiordania peggiora di giorno in giorno ma, per favore, non cedete alla rassegnazione. Anche se nessuna denuncia sembra in grado di spingere i politici a sostenere in modo significativo i diritti umani, la vostra voce in realtà può fare la differenza. Scrivere al vostro rappresentante in parlamento, fare donazioni, sostenere la Freedom flotilla coalition, fare campagne online, boicottare aziende (come Airbnb) che traggono profitti dagli insediamenti illegali: questo genere di cose fa la differenza.

Il vostro tweet su Gaza o la bandiera palestinese appesa alla finestra non fermeranno il genocidio. Ma queste cose servono a impedire che la rassegnazione prevalga

Molte persone saranno pronte a dirvi il contrario. C’è una rassegnazione che oggi viene riproposta sotto forma di sensato pensiero centrista. Vi diranno: “Lascia perdere i piccoli e stupidi gesti di attivismo o i post sui social media. Non servono a niente”.

Certo, il vostro tweet su Gaza o la bandiera palestinese appesa alla finestra non fermeranno il genocidio. Ma vi dico a cosa servono queste cose: impediscono che la rassegnazione prenda il sopravvento. Forse, se non appartenete a un gruppo che per decenni è stato sistematicamente disumanizzato, potrebbe essere difficile comprendere l’impatto di questi gesti. Ma ogni volta che vedo un estraneo che indossa la kefiah, o una celebrità che raccoglie fondi per Gaza, o un cartello in solidarietà con la Palestina appeso alla finestra ho speranza. Mi ricorda che non tutti hanno normalizzato il genocidio. Non tutti hanno abbandonato i palestinesi.

Cosa ancor più importante, i piccoli gesti si accumulano. I politici raramente fanno la cosa giusta solo per il gusto di farla. Devono essere spinti a fare delle riforme. Pensate che le donne avrebbero ottenuto il diritto di voto se le suffragette non fossero diventate una seccatura? Pensate che il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti avrebbe vinto se gli afroamericani fossero rimasti seduti in modo obbediente nei sedili di dietro degli autobus? Pensate che i matrimoni tra persone dello stesso sesso sarebbero stati legalizzati se la comunità queer e i suoi alleati avessero sperato in silenzio che tutto andasse per il meglio? Pensate che l’apartheid in Sudafrica sarebbe finito senza i boicottaggi globali?

I personaggi famosi possono avere un ruolo enorme nell’orientare la politica. Quando l’attrice Ellen DeGeneres fece coming out nel 1997 sulla copertina del Time e nella sua sitcom di fronte a 42 milioni di telespettatori, fu una svolta epocale per i diritti delle persone lgbt. Quell’episodio ha contribuito ad aprire la strada al matrimonio omosessuale negli Stati Uniti. Perciò nessuno venga a dirci che chiedere alle celebrità di schierarsi è uno spreco di tempo. Se le star non avessero nessun impatto, non ci sarebbe una campagna così aggressiva da parte dei sostenitori di Israele per screditare Ms Rachel, educatrice e autrice di programmi per bambini che ha fatto tanto per umanizzare i palestinesi.

Potrebbero sembrare futili, ma anche i messaggi sui social sono importanti. Se le campagne online non avessero un effetto, i politici statunitensi non avrebbero lanciato iniziative bipartisan per vietare TikTok (dove secondo loro ci sarebbero troppi contenuti propalestinesi). Se i tweet indignati fossero irrilevanti, il governo israeliano non starebbe spendendo altri 150 milioni di dollari per influenzare l’opinione pubblica.

È difficile non perdere la speranza in questi “tempi mostruosi”, ma per il bene di chi è colpito dalle mostruosità è obbligatorio non rassegnarsi. Se foste a Gaza, costretti ad assistere al deperimento dei vostri figli a causa di una carestia pianificata a tavolino, vorreste che qualcuno si schierasse con voi? Se i vostri bambini fossero sepolti vivi sotto le macerie, vorreste che qualcuno denunciasse i responsabili? O vi limitereste a dire: “È una situazione troppo disperata perché la gente comune possa risolverla. Molto meglio se le brave persone non fanno niente. Ci penseranno i politici a risolvere la questione”. ◆ fdl

Questo articolo è uscito sul Guardian.

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Questo articolo è uscito sul numero 1631 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati