La geologia dell’Islanda è sempre in movimento. L’isola è sulla dorsale medio atlantica, una lunga catena montuosa sottomarina che segna la linea di confine tra due diverse placche tettoniche. Le eruzioni sono frequenti e spesso formano grandi campi di lava e strati di cenere. L’effetto di questi cambiamenti può trarre in inganno: si può nuotare nel cratere vulcanico Viti o visitare il lago Askja e sentirsi immersi in fenomeni geologici con milioni di anni di storia, ma entrambi i luoghi sono più giovani del ponte di Brooklyn.

La creatività della natura ha imposto alla lingua islandese di essere agile: da secoli dialoga con il paesaggio. La natura si trasforma e fa nascere una montagna, un campo di lava o un’isola, tutte cose che hanno bisogno di un nome. In genere noi islandesi descriviamo ciò che vediamo. Il cono vulcanico Eldfell si è formato nel 1973 a seguito di un’eruzione. Il suo nome significa “montagna di fuoco”. Altre volte siamo più poetici, come nel caso dell’isola Surtsey, formata nel 1963, che prende il nome dal gigante di fuoco Surtur della mitologia norrena. Nomi che a loro volta influenzano la lingua. La parola islandese fuglabjard vuol dire scogliera degli uccelli e ha un significato letterale e metaforico. Indica una scogliera sulla quale centinaia di migliaia di uccelli marini costruiscono i nidi. Il loro gracchiare rende quei luoghi tra i più rumorosi dell’isola. E infatti la parola descrive anche un gruppo di persone chiassose. Mi è capitato di andare a una conferenza e di scrivere a mia moglie: “Questo posto è un fuglabjard”.

The New York Times, 2

Nascono le valli

Abituarsi a un paesaggio che cambia rischia di non far notare il ritmo innaturale di alcuni mutamenti. Il riscaldamento degli oceani ha fatto scomparire alcune fonti di cibo: in diversi fuglabjard il numero di uccelli e il rumore è calato notevolmente. Mi chiedo se vivrò abbastanza a lungo per assistere al momento in cui fuglabjard sarà una metafora di silenzio.

Stiamo entrando in una nuova era: gli uccelli si fanno sentire di meno, ai margini dei ghiacciai si formano dei laghi, dove prima c’erano i ghiacciai ora ci sono delle valli. Che nome dare a una valle che un tempo era un ghiacciaio?

Il ponte più lungo d’Islanda un tempo passava sopra una vasta pianura di sedimenti formata dall’acqua di scioglimento dei ghiacciai chiamata Skeiðarársandur, che si traduce come “barca-fiume-sabbia”. Quando nel 1974 è stato costruito rappresentava una grande conquista ingegneristica: era stato progettato per resistere alle imponenti inondazioni del fiume, creato dallo scioglimento dei ghiacciai, che scorreva su una distesa di sabbia nera. Il ponte ora attraversa un territorio molto più arido. Dagli anni duemila il ghiacciaio è arretrato considerevolmente. Il fiume ha formato un nuovo letto e quella meraviglia ingegneristica si erge goffa, come chi è rimasto a una festa troppo a lungo. Anche le sabbie nere di Skeiðarársandur stanno cambiando. Ora che il fiume non c’è più, la sabbia non riceve nuovi sedimenti glaciali e la vegetazione sta cominciando a prendere il sopravvento. Come chiamare “barca-fiume-sabbia” quando le barche e il fiume non ci sono più e ora sopra la sabbia c’è una foresta?

Il vulcano Okjökull e la laguna glaciale di Jökulsárlón. Islanda, giugno 2025

Skeiðarárjökull, “barca-fiume-ghiacciaio” è una valle glaciale nell’Islanda sudorientale che fa parte del Vatnajökull, il ghiacciaio più grande d’Europa, che si estende per una superficie di 7.700 chilometri quadrati. L’ho attraversata con degli amici. È strano percorrere luoghi così massicci e imponenti, circondati da ghiacci antichissimi a perdita d’occhio. È difficile capire come qualcosa di così grande possa essere tanto fragile. Le formazioni rocciose mi hanno lasciato confuso. All’inizio era come camminare sulle squame bianche di un antico drago. Poi di colpo eravamo in una foresta di piramidi di sabbie nere, poi su una distesa vasta e molliccia, simile a un’autostrada. Per abitudine guardavo da entrambi i lati prima di attraversarla.

Durante quella traversata mi sembrava che il ghiacciaio mi parlasse, dicendomi che a un certo punto tra le piramidi e l’autostrada qualcosa era andato storto. Guardando le montagne ho visto al centro una netta linea di marea, dove il colore cambia. Quella linea segna dove arrivava il ghiacciaio fino al 1995. Da allora ha perso massa quasi ogni anno.

Nel 2014 l’Okjökull è stato dichiarato estinto. Ok era il nome del vulcano su cui si trovava il ghiacciaio, che in islandese si dice jökull. Ora è solo una piccola chiazza di ghiaccio su un vulcano. Gli antropologi della Rice university, in Texas, mi hanno chiesto di scrivere il testo di una targa commemorativa. Al livello internazionale la parola Ok significa d’accordo, ma in islandese significa “giogo”, come quello che si mette su due buoi per arare un campo. Il testo della targa è:

“Ok è il primo ghiacciaio islandese a perdere il suo status di ghiacciaio. Ci si aspetta che nei prossimi duecento anni tutti gli altri ghiacciai del paese seguiranno la sua stessa sorte. Questa targa vuole attestare che siamo a conoscenza di cosa sta succedendo e che sappiamo cosa andrebbe fatto. Solo voi potrete testimoniare se l’avremo fatto.

Agosto 2019,

415 ppm di CO2

Quest’anno i livelli di CO2 hanno già superato i 430 ppm (parti per milione). I ghiacciai occupano circa il 10 per cento della superficie del paese ma, se fossero spalmati in modo omogeneo come la glassa di una torta, l’intera isola si troverebbe sotto una trentina di metri di ghiaccio. Il prossimo ghiacciaio ad abbandonarci sarà probabilmente lo Snæfellsjökull, “montagna-neve-ghiacciaio”.

Come chiameremo lo Snæfellsjökull quando il ghiacciaio non ci sarà più? Solo Snæfell? E quando pure la neve sarà sparita? E quando tutti i ghiacciai saranno scomparsi, come chiameremo la nostra isola che è stata sempre Islanda, “ice-land”, terra del ghiaccio? Solo terra? ◆ nv

Andri Snær Magnason è uno scrittore e regista islandese.

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Questo articolo è uscito sul numero 1633 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati