Il 31 gennaio in decine di città russe ci sono state nuove proteste contro l’arresto di Aleksej Navalnyj. Sembra che il numero dei partecipanti fosse inferiore a quello della settimana precedente: la tattica d’intimidire i manifestanti e isolare i possibili organizzatori ha funzionato. Alla vigilia ci sono stati altri arresti di attivisti, e i giornalisti sono stati avvertiti che la loro partecipazione non sarebbe stata tollerata.

La presenza della polizia era impressionante, e non solo nei cordoni. In alcune città c’erano più agenti che manifestanti. Le forze dell’ordine hanno impedito alle persone di raggiungere i luoghi di ritrovo, le hanno disperse usando manganelli e taser e hanno picchiato quelle fermate. Il numero di arrestati ha raggiunto un nuovo record: la sera del 1 febbraio erano 5.135, secondo il sito indipendente Ovd-Info. Tra loro c’erano anche 82 giornalisti.

Come al solito, gli insegnanti hanno usato qualunque mezzo per convincere gli studenti a non andare alle manifestazioni. Anche i sacerdoti ortodossi hanno fatto la loro parte: le chiese della diocesi di Volgograd hanno ricevuto un appello da leggere dopo la liturgia domenicale, che chiedeva ai cittadini di non partecipare alle manifestazioni e di controllare i propri figli. Lo stesso giorno il patriarca Kirill ha tenuto un sermone sulla crisi delle giovani generazioni. All’interno della chiesa russa ci sono opinioni contrastanti, ma il patriarca fa di tutto per conservare il favore del Cremlino. Non sorprende quindi che essa sia diventata una parte dello stato e che svolga alcune delle sue funzioni.

L’agenzia federale per la supervisione dei mezzi di comunicazione ha diramato un comunicato per spiegare l’oscuramento delle notizie sulle manifestazioni nei social network: “In base alle direttive della procura generale, gli amministratori hanno bloccato l’accesso alle informazioni false sul numero dei partecipanti alle manifestazioni illegali, su presunti episodi di violenza e scontri, e sulla morte di manifestanti”. Gli episodi di violenza diventanofake news e i numeri sono accessibili solo al ministero dell’interno. Stiamo arrivando al punto in cui “la guerra è pace”, come nel romanzo di George Orwell 1984. Ma la Russia non è l’Oceania di quel libro, e neanche la Corea del Nord. Non abbiamo un’ideologia, ma solo una macchina burocratica che impartisce ordini stupidi e illegali nella sua lingua.

Punto di svolta

Questi metodi per combattere le proteste pacifiche sono quasi gli stessi applicati dal presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko. Quando sono cominciate le proteste in Bielorussia, ad agosto, i russi hanno osservato la reazione del regime come se fosse una cosa da medioevo. Allora la Russia sembrava in qualche modo un paese civile. La distorsione cognitiva era enorme. E giravano perfino voci secondo cui il Cremlino avrebbe fatto pressione per costringere Lukašenko a lasciare il potere. Anche se solo per tutelare i suoi interessi, Mosca avrebbe avuto il pretesto per porsi come garante dei diritti umani. Meno di sei mesi dopo, ecco che le stesse cose succedono in Russia. Magari non si parla ancora di costruire un campo di concentramento e non sono ancora stati uccisi manifestanti. Ma forse ci sono progetti che non conosciamo, e di omicidi ce ne sono già stati diversi stando alle inchieste del sito Bellingcat.

In Bielorussia Lukašenko ha agito per difendere il suo potere, se non la sua stessa vita. La posta in gioco per lui è molto alta. E in Russia cosa ha causato la repressione? Non essendo riuscito ad avvelenare il suo principale avversario, il regime è stato costretto ad arrestarlo quando è tornato dalla Germania. Come se non bastasse, Navalnyj si è anche permesso di pubblicare un video sul “palazzo di Putin”. Non c’è stata una minaccia diretta alle autorità, ma gli è stata lanciata una sfida personale. In primo luogo, Navalnyj non è morto quando avrebbe dovuto. Poi ha osato smascherare gli avvelenatori, tornare e attaccare il presidente.

Ovviamente la questione non si riduce a una sfida personale. Il punto è che il sistema ha virato verso la dittatura. Le modifiche alla costituzione e le leggi approvate nel 2019 hanno fornito alle autorità nuovi strumenti di potere, eliminando le restrizioni legali. E ora questo sistema non può reagire politicamente a una crisi politica, come aveva cercato di fare nel 2012, ma solo ricorrere alla repressione.

La repressione s’intensificherà, i manifestanti saranno etichettati come criminali finanziati dai servizi segreti occidentali o da certi malfattori russi (questa è una novità). La propaganda è semplice, l’astuzia non è più necessaria. Il regime si sente in stato di guerra. I manifestanti sono considerati irrecuperabili, ma al cuore dell’elettorato bisogna in qualche modo dare delle spiegazioni sul palazzo di Putin, le proteste, Navalnyj e certe strane proposte per arginare la crisi economica. Questi fedeli elettori saranno lieti di ascoltare risposte semplici e false, altrimenti sarebbero costretti a cambiare idea.

Gli indecisi però potrebbero voltare definitivamente le spalle alle autorità. Dopo aver sperimentato l’arresto, la violenza e il carcere, i giovani manifestanti si radicalizzeranno. Le forze dell’ordine riceveranno nuove risorse e più poteri per reprimerli. Ci siamo già passati un tempo, ce lo ha insegnato la storia. ◆ ab

Da sapere
Due anni e otto mesi di carcere

◆ Il 2 febbraio 2021 Aleksej Navalnyj è stato condannato a tre anni e mezzo di prigione per aver violato i termini di una condanna per frode del 2014, giudicata “arbitraria e irragionevole” dalla Corte europea dei diritti umani (Cedu). La pena sospesa è stata commutata in detenzione perché Navalnyj non ha rispettato la libertà vigilata: è stato ricoverato in un ospedale tedesco da agosto a gennaio per un avvelenamento, di cui ha accusato il Cremlino. Considerato il periodo già trascorso agli arresti domiciliari, dovrà scontare due anni e otto mesi. Navalnyj ha annunciato che farà ricorso. Dopo la sentenza in diverse città si sono tenute manifestazioni di protesta. La polizia ha arrestato 1.200 persone.


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Questo articolo è uscito sul numero 1395 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati