Israeliani che fuggono in preda al panico quando suonano le sirene d’allarme, asciugamani abbandonati sulla spiaggia di Tel Aviv, la chiusura dell’aeroporto Ben-Gurion: queste scene hanno fatto gioire molti palestinesi che vivono all’ombra dell’arrogante e intimidatorio potere della polizia e dell’esercito d’Israele. È naturale che i palestinesi vogliano vedere indebolita la superpotenza ebraica e far conoscere agli israeliani cos’è la paura. Ma questo senso di sollievo dura poco. Perché Israele dimostra ancora una volta che la sua capacità di terrorizzare, uccidere e distruggere è molto più grande di quella dei palestinesi.

L’esercito costruito dal movimento Hamas, con la sua perseveranza nonostante l’embargo e gli omicidi, la sua capacità di sorprendere e seminare la paura in milioni d’israeliani, ha assunto un ruolo importante, di cui la politica regionale e globale deve tenere conto. E proprio per questo è impossibile trattare Hamas come il rappresentante delle vittime e non fargli alcune domande. Per esempio: la sua risposta militare all’escalation israeliana a Gerusalemme non ha forse stroncato sul nascere un movimento popolare e politico contro l’espulsione dei palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah? Hamas ha tenuto in considerazione il terribile prezzo che i civili di Gaza stanno pagando?

Una storia centenaria

Il fatto che Hamas abbia preso le armi, unito agli scontri di questi giorni, appare agli occhi di molti come un successo sul piano politico e militare, capace di risollevare il morale dei palestinesi. Questo risultato ha trasformato milioni di palestinesi (soprattutto quelli che non vivono a Gaza, sotto i pesanti bombardamenti israeliani) e molti sostenitori della causa della liberazione e del ritorno dei palestinesi in ammiratori del movimento di resistenza islamico. Chi mette in dubbio la logica della militarizzazione palestinese e del duro prezzo che impone, oggi tace. Il bombardamento israeliano su Gaza, un territorio stretto e isolato, può forse essere presentato come una “reazione”. Ma ogni palestinese e ogni osservatore ragionevole sa che fa parte di una storia centenaria, in cui un popolo occupa ed espelle, frammenta, divide e schiaccia, mentre l’altro rifiuta di cedere la sua identità e la sua patria, e per questo viene costantemente attaccato.

L’ammirazione delle persone nei confronti dell’ingegnosità e dell’eroismo si mescola con la retorica della sofferenza e della persecuzione. I corpi dei bambini estratti dalle macerie; le infrastrutture idriche, elettriche e fognarie distrutte; le scuole piene di famiglie in fuga: tutte queste scene sono dolorosamente familiari e scatenano sentimenti d’impotenza, rabbia e disperazione nei palestinesi. Mentre nel migliore dei casi lasciano indifferente la maggior parte degli israeliani e, nel peggiore, la fanno felice.

Spianare la strada

Il regime di Hamas, bravissimo a costruire un esercito, non ha investito nella costruzione di rifugi per i civili. E dipende dagli aiuti delle organizzazioni internazionali, guidate dall’Agenzia dell’Onu che si occupa dei profughi palestinesi (Unrwa), per offrire una rete di sicurezza e delle forniture basilari agli abitanti. Hamas sa che il peso della ricostruzione (lenta e snervante) ricadrà sui paesi stranieri e sull’odiato governo di Ramallah.

È difficile credere che i leader di Hamas non abbiano considerato la possibilità che Israele avrebbe risposto con colpi più potenti e letali, che sarebbero costati la vita a molti civili. È ragionevole pensare che Hamas si aspettasse la risposta di Israele con la distruzione d’infrastrutture civili e non solo militari.

Hamas ha avviato una campagna militare senza avere gli strumenti per difendere i suoi cittadini. Sta usando le sue capacità militari e lo shock della comunità internazionale di fronte alla distruzione per rafforzare il suo status di rappresentante politico di tutto il popolo palestinese. E Israele continua a spianargli la strada, sia isolando la Striscia dal resto del paese sia con la sua politica militare sanguinosa e sfrenata. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1410 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati