Ayman (il nome è stato modificato) è stato rilasciato il 1 dicembre dopo essere stato detenuto senza motivo dall’esercito israeliano. “Tutto è cominciato il 6 ottobre 2024, quando mia moglie, i miei tre figli e io ci siamo trovati sotto assedio nel nord della Striscia di Gaza”, racconta. “L’esercito aveva diffuso dei messaggi dagli altoparlanti indicandoci un passaggio sicuro per fuggire, ma quando siamo arrivati lì mi hanno arrestato”. L’uomo ha subìto un interrogatorio di dieci ore, prima di essere imprigionato in condizioni disumane: denudato, ammanettato, bendato, picchiato, senza un avvocato e rinchiuso nell’atroce carcere militare di Sde Teiman, descritto dall’ong israeliana B’tselem come un campo di tortura. “Per quaranta giorni ho vissuto la brutalità, le umiliazioni, le ripetute operazioni di repressione. Eppure sono un civile. Non ho mai fatto parte di nessuna organizzazione”, afferma Ayman. La sua detenzione si è conclusa come era cominciata, senza spiegazioni, quando è stato riportato al valico di frontiera di Kerem Shalom.
Il suo racconto riecheggia le molte testimonianze di maltrattamenti di detenuti palestinesi arrestati nei mesi successivi all’attacco di Hamas in Israele del 7 ottobre 2023. Le immagini dei corpi smagriti o mutilati hanno inondato i social media a gennaio, quando molti sono stati liberati in cambio degli ostaggi israeliani, nel quadro del cessate il fuoco a Gaza entrato in vigore il 19 gennaio e interrotto da Israele quasi due mesi dopo. Uno dei prigionieri, Mohammad Abu Tawileh, un meccanico di 36 anni, è uscito alla fine di febbraio da Sde Teiman con la schiena ricoperta di tracce di ustioni, provocate con uno spray e un accendino.
Pane e crema spalmabile
Tanti altri prigionieri sono tornati scheletrici dalle carceri israeliane. Le loro razioni di cibo, estremamente ridotte dopo il 7 ottobre, consistevano per esempio in qualche pezzo di pane e un po’ di crema dolce spalmabile. “La fame è ormai lo strumento di una politica applicata in più contesti”, osserva Jenna Abu Hasna, responsabile delle campagne internazionali per Addameer, un’organizzazione palestinese per la difesa dei prigionieri. A marzo Walid Ahmad, 17 anni, è morto nell’istituto di massima sicurezza di Megiddo, dove era detenuto da sei mesi senza un’incriminazione. Il rapporto dell’autopsia realizzato da esperti israeliani ha rivelato che l’adolescente, di corporatura robusta nelle foto scattate prima della detenzione, soffriva di grave malnutrizione e scabbia.
In un rapporto del febbraio 2025, la sezione israeliana dell’associazione Physicians for human rights (Medici per i diritti umani) parla di “una politica sistematica di riduzione alla fame, negligenza sanitaria, contenzione fisica prolungata, umiliazione e violenza”. Oltre alle percosse e alle violenze sessuali, ci sono gli attacchi con i cani o i casi di prigionieri cosparsi di acqua bollente, scrive l’ong. Anche l’assenza e il rifiuto di prestare cure mediche, la privazione del cibo, del sonno e dell’igiene, oltre alle interruzioni della fornitura d’acqua, sono forme di tortura.
Documentato da tempo, l’uso della tortura nei centri di detenzione israeliani non è una novità. Di nuovo c’è però la portata di questi metodi dopo il 7 ottobre. Le testimonianze dei prigionieri, le analisi degli esperti e i rapporti delle ong concordano su un aspetto: nel contesto della campagna di distruzione della Striscia di Gaza e d’intensificazione delle operazioni militari israeliane in Cisgiordania, gli abusi commessi nelle prigioni stanno avvenendo con una frequenza senza precedenti.
Una cifra riflette questa svolta: secondo Addameer, 66 palestinesi sono morti in detenzione dall’inizio della guerra, rispetto a poco più di duecento in totale tra il 1967 e il 2023. Una statistica sproporzionata, pur tenendo conto dell’enorme aumento di prigionieri palestinesi dal 7 ottobre in poi, la metà dei quali incarcerati senza un’accusa. Secondo i dati dell’ong israeliana HaMoked, che si basano su quelli del servizio penitenziario israeliano, oggi Israele tiene in carcere 10.068 palestinesi definiti “detenuti di sicurezza”, spesso al di fuori delle tradizionali procedure giudiziarie. Il doppio rispetto all’ottobre 2023.
Prima del 7 ottobre la tortura e le percosse erano usate soprattutto durante gli interrogatori. “Oggi invece è diventata una cosa abituale”, continua Abu Hasna. “La maggior parte dei detenuti è sottoposta ad aggressioni brutali e a trattamenti inumani e degradanti dai soldati e dagli agenti penitenziari, spesso come parte di punizioni collettive”. Sono metodi diventati “così sistematici che senza dubbio rientrano in una politica organizzata e deliberata delle autorità penitenziarie israeliane”, afferma B’tselem in un rapporto uscito nell’agosto 2024 e intitolato “Benvenuti all’inferno”, il più completo sulle violenze in carcere dall’inizio della guerra. “Gli abusi collettivi commessi da decine di guardie, portati avanti apertamente per mesi negli istituti penitenziari, non potevano avvenire senza il sostegno e l’incoraggiamento dall’alto”, conclude l’inchiesta, citando più volte il ministro della sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, che supervisiona il sistema carcerario israeliano.
Voglia di vendetta
Da quando si è insediato nel gennaio 2023, Ben Gvir, un colono suprematista condannato nel 2007 per incitamento all’odio e sostegno a un’organizzazione terroristica, ha inasprito le condizioni di detenzione. Il giro di vite dopo il 7 ottobre si è concretizzato in particolare nella costruzione di carceri militari come quello di Sde Teiman, un edificio composto di aree senza tetto in pieno deserto del Negev, o come il campo di Ofer, o nella riapertura del centro di detenzione di Anatot. In questi istituti gestiti dai soldati la diffusa voglia di vendetta delle truppe spinge i superiori a chiudere un occhio, permettendo o perfino incoraggiando gli abusi. “Eppure ci sono migliaia di detenuti che non hanno avuto alcun ruolo nel 7 ottobre”, osserva Abu Hasna.
◆ Il 21 maggio 2025 i soldati israeliani hanno aperto il fuoco durante una visita di diplomatici a Jenin, nel nord della Cisgiordania occupata, organizzata dall’Autorità nazionale palestinese (Anp). Secondo Israele, i soldati hanno sparato dei colpi d’avvertimento, mentre l’Anp ha denunciato che i colpi sono stati sparati direttamente contro il convoglio. Alla visita partecipavano una trentina di diplomatici di vari paesi, tra cui Francia, Paesi Bassi, Romania, Cina, Giappone e Messico. L’esercito israeliano ha espresso il suo “rammarico per l’incidente”. Alcuni paesi europei, tra cui Irlanda, Germania e Belgio, hanno “condannato fermamente” l’accaduto. Altri, come l’Italia e la Francia, hanno convocato gli ambasciatori israeliani nei rispettivi paesi per chiedere “una spiegazione ufficiale”. Afp
Nel maggio 2024 un’inchiesta del canale statunitense Cnn ha rivelato alcune violazioni commesse dall’esercito israeliano a Sde Teiman. Tra queste ci sono detenuti sottoposti a contenzioni fisiche estreme, come i feriti legati ai letti, costretti a indossare pannoloni e ad alimentarsi con una cannuccia. In alcuni casi le manette troppo strette hanno causato lesioni tali da dover amputare gli arti.
All’epoca una petizione di vari gruppi per la difesa dei diritti umani, lanciata dall’ong Comitato pubblico contro la tortura in Israele, aveva chiesto la chiusura del campo, spingendo il governo israeliano a dichiararsi pronto a ridurre il numero di detenuti nelle strutture militari. In particolare Sde Teiman dovrebbe diventare un luogo per interrogatori e detenzioni brevi. Circa settecento prigionieri sono stati quindi trasferiti nei campi militari di Ofer e di Anatot, riducendo a poche decine il numero di quelli trattenuti a Sde Teiman. In seguito il generale Herzi Halevi, all’epoca capo di stato maggiore dell’esercito, ha nominato un “comitato consultivo” per esaminare la compatibilità delle condizioni di detenzione con il diritto internazionale.
Tuttavia, solo poche settimane dopo, alla fine di luglio, è scoppiato uno scandalo quando si è saputo che cinque soldati israeliani avevano stuprato un detenuto palestinese a Sde Teiman. Nonostante lo scalpore suscitato dal caso, che ha contrapposto le forze dell’ordine ai militari, a settembre la corte suprema israeliana ha respinto la richiesta delle ong di chiudere la prigione, citando le migliorie introdotte nelle condizioni di detenzione, in particolare con l’annuncio dell’apertura di una nuova ala. Dal gennaio 2025 varie organizzazioni israeliane per la difesa dei diritti umani, comprese HaMoked e Physicians for human rights, hanno denunciato le condizioni di detenzione a Ofer e Anatot, ritenute gravi come di quelle di Sde Teiman. Sembra quindi che gli abusi e le torture siano stati solo trasferiti altrove.
Tutti i prigionieri provenienti da Gaza approdano nelle carceri militari, anche se non hanno legami con Hamas o con altri gruppi armati. Sono classificati come “combattenti illegali”, una definizione che permette di incarcerare chiunque possa essere considerato una minaccia alla sicurezza d’Israele, senza obbligo di formalizzare accuse concrete, negando la protezione riconosciuta ai prigionieri di guerra sulla base del diritto internazionale umanitario.
Molti esempi dimostrano in che modo le autorità israeliane usano e abusano di questa definizione dal 7 ottobre. Una donna di Gaza di 82 anni affetta da Alzheimer è stata detenuta per due mesi come “combattente illegale”. Secondo un rapporto del Comitato pubblico contro la tortura in Israele del luglio 2024, il 47 per cento di questi detenuti alla fine è stato rilasciato senza incriminazione, a conferma dell’infondatezza di molti arresti.
La categoria di “combattente illegale”, prevista da una legge del 2002, era rimasta marginale fino alla guerra a Gaza. Ma da allora è diventato uno dei principali strumenti di detenzione di Israele. Attualmente 1.747 palestinesi di Gaza sono incarcerati come “combattenti illegali”, mentre diciannove mesi fa non ce n’era neanche uno.
La guerra ha inoltre inasprito il relativo quadro giuridico. Inizialmente la detenzione in questo regime richiedeva una convalida entro 96 ore. Ma nel dicembre 2023 un emendamento ha esteso il termine a 45 giorni. La modifica riguarda anche le regole del controllo giudiziario, tra cui la comparizione davanti a un giudice, in precedenza prevista entro 14 giorni. Il termine è stato esteso a 75 giorni e l’udienza trasformata in una videoconferenza, in modo da impedire al giudice qualsiasi valutazione delle condizioni fisiche del detenuto. Anche il periodo consentito senza vedere un avvocato è stato esteso da dieci a 75 giorni a discrezione dei funzionari, e da 21 a 180 giorni a discrezione dei tribunali.
Questi termini sono stati però ridotti da un nuovo emendamento nel luglio 2024. Vuole dire che Israele si è accorto che le ripetute violazioni stanno danneggiando la sua immagine e rischiano a lungo termine di indebolire i suoi leader? Il 2024 è stato segnato dall’emissione dei mandati d’arresto della Corte penale internazionale contro il primo ministro Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della difesa Yoav Gallant, per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Una decisione che Tel Aviv ha fatto di tutto per impedire, mentre il caso del Sudafrica contro Israele alla Corte internazionale di giustizia per violazione della convenzione sul genocidio è ancora in corso. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1615 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati