Le strade di Lod odorano di cenere. Il fetore arriva dalle auto e dai cassonetti dell’immondizia bruciati sul bordo della strada. E da una scuola di studio della Torah, dove sedie e tavoli di metallo si sono fusi nelle fiamme. Ci sono stati molti incendi negli ultimi giorni a Lod, una città nel centro di Israele. E non solo qui.
Dal 10 maggio Israele e i Territori palestinesi hanno vissuto una terribile esplosione di violenza. Tutto è cominciato con lo sgombero forzato di alcune case abitate da palestinesi a Gerusalemme Est, che hanno portato a violente rivolte sul Monte del tempio. La situazione è degenerata in una nuova guerra a Gaza.
I conflitti tra Israele e Hamas sono diventati una specie di sanguinosa routine nel corso degli anni. Ci sono stati lanci di razzi e bombardamenti nel 2008, nel 2012 e nel 2014. Hanno perso la vita migliaia di palestinesi, e anche soldati e civili israeliani. Ma questa volta gli attacchi da Gaza sono più intensi del passato. Così come i bombardamenti di Israele.
C’è però anche un altro, e più nuovo, elemento nel conflitto cominciato il 10 maggio. Questa volta non sono solo l’esercito israeliano e le milizie di Hamas ad affrontarsi. I combattimenti si sono estesi alla popolazione. Anche a Lod.
La città si trova in una terra di nessuno nel centro di Israele, tra la metropoli alla moda di Tel Aviv e la città santa di Gerusalemme. La gente di solito ci va solo per raggiungere il vicino aeroporto Ben Gurion. La maggior parte degli israeliani non ha mai messo piede in questa città dal nome biblico. Lod ha 80mila abitanti, due terzi ebrei e un terzo arabi israeliani. È considerata un focolaio di criminalità. Sparatorie e violenze sono all’ordine del giorno, tanto che è stata soprannominata la “città degli omicidi”. Nella peggiore delle ipotesi, Lod potrebbe presto ricevere un altro appellativo: la città dove cominciò la guerra civile israeliana.
Per le scale
Qui il 10 maggio, il giorno dei disordini a Gerusalemme, un ebreo ha sparato e ucciso un arabo israeliano di nome Moussa Hassouna. Alcuni testimoni ebrei sostengono che si è trattato di legittima difesa. Un giudice, però, ha stabilito che non c’erano prove sufficienti a sostegno di questa ipotesi, e varie persone legate alla vicenda sono in custodia cautelare. Ma se l’origine dell’attacco non è chiara, le sue conseguenze lo sono. Dopo la sepoltura di Hassouna, la sera successiva, alcuni arabi inferociti hanno attraversato Lod, scagliando pietre contro la polizia e incendiando automobili. Il giorno dopo le fiamme sono state spente, ma sarà difficile riparare i danni. Gli abitanti sono stati presi dalla paura e dalla rabbia e la città è divisa.
La voce di Gil Gabay trema quando racconta cosa è successo. È un’ebrea israeliana e vive di fronte alla strada dove centinaia di palestinesi hanno sfogato la loro rabbia. Il fumo ha riempito il suo appartamento. “Riuscivamo a malapena a respirare”, ricorda. I suoi quattro figli piangevano e tremavano. Poi è risuonata la sirena dell’allarme aereo, ricordandole che gli scontri non si limitano alla strada. La notte dell’11 maggio i miliziani di Hamas e della Jihad islamica hanno lanciato dei razzi verso il centro di Israele. “Non abbiamo un rifugio”, spiega Gabay. “Di solito aspettiamo la fine dell’allarme nelle scale del condominio”. Ma questa volta la famiglia è rimasta in casa. “Per la prima volta ho avuto paura dei miei vicini”, dice.
Circa un quinto della popolazione di Israele è composta da arabi. Alcuni ebrei e arabi si tengono a distanza. Ci sono posti dove nessuno indossa un velo islamico, altri dove la chiamata alla preghiera del muezzin risuona ogni giorno. In alcune città la popolazione è mista, araba ed ebraica. Haifa, nel nord, è stata a lungo considerata un modello di coesistenza. A Jaffa, appena a sud di Tel Aviv, vive una grande comunità palestinese. Anche Lod è una cosiddetta “città mista”, dove ebrei e palestinesi vivono vicini. Così vicini che a volte condividono le stesse scale.
Nell’edificio dove vive Gabay, agli stipiti di alcune porte è affissa una mezuzah, la capsula contenente versetti della Torah. Qualche piano più in basso sulle pareti ci sono delle scritte in arabo. Nel palazzo di quattro piani vivono sedici famiglie: nove di ebrei e sette di arabi. Tutti s’incontravano sulle scale quando le sirene suonavano. Aspettavano insieme la fine dell’allarme per rientrare in sicurezza nei loro appartamenti. Stavolta, però, è stato diverso. Hanno deciso che era meglio rimanere in casa piuttosto che incontrarsi sulle scale.
In pochi giorni in Israele i vicini sono diventati avversari politici e la cortesia ha lasciato spazio alla diffidenza. Cosa pensa di me “l’altra parte”? Sono ancora un essere umano o sono diventato il nemico? Molti abitanti del condominio 9 si stanno ponendo queste domande. “Ho incontrato per caso uno dei miei vicini arabi”, dice Gabay. “Aveva una ferita sulla testa causata da un proiettile della polizia”. Le è sembrato di vedere un’aria di risentimento sul suo viso. Improvvisamente gli ebrei sono visti come rappresentanti della polizia israeliana e gli arabi israeliani come un’estensione di Hamas.
“Con i vicini abbiamo sempre avuto buoni rapporti”, conferma Muhamed Khalili, un palestinese di 36 anni che vive al secondo piano con la moglie e quattro figli. “Ma ora non so cosa pensino di noi gli ebrei”. Forse lo ritengono responsabile delle auto bruciate. Khalili non ha mai avuto paura dei suoi vicini. Ma da questa settimana preferisce evitarli.
◆ Il 18 maggio 2021 ci sono stati scontri tra le forze di sicurezza israeliane e i palestinesi che manifestavano a Gerusalemme e in varie città della Cisgiordania contro i bombardamenti a Gaza. Un palestinese è stato ucciso e 70 sono rimasti feriti alla periferia di Ramallah. Anche due soldati israeliani sono stati feriti. Centinaia di persone hanno protestato lanciando pietre e bruciando pneumatici anche a Nablus, Hebron, Betlemme e nel campo profughi di Jenin, nel nord della Cisgiordania, dove il 17 maggio negli scontri con i soldati israeliani è morto un ragazzo di 17 anni. Finora 14 palestinesi sono stati uccisi dalle forze di sicurezza israeliane in Cisgiordania. Al Jazeera
Gli eventi della notte seguente hanno dimostrato che la sua preoccupazione era giustificata. A Bat Yam, un sobborgo di Tel Aviv, una folla di ebrei nazionalisti ha attaccato un uomo dall’aspetto arabo, che ora è in ospedale. La stessa notte, ad Acri, un ebreo è stato ferito da arabi israeliani. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha condannato entrambi gli episodi. Ma a parte questo ha fatto poco per placare le tensioni in città come Lod, Acri, Tiberiade e Hadera.
Il risentimento che si è accumulato nella comunità araba d’Israele è una bomba a orologeria. Ufficialmente gli arabi israeliani hanno gli stessi diritti degli ebrei, compreso quello di voto, e possono lavorare, studiare e vivere negli stessi luoghi dei loro concittadini ebrei. Almeno sulla carta. Ma le loro vite spesso sono marchiate dal fatto di non appartenere al paese a pieno titolo. In alcuni casi sono apertamente discriminati dallo stato ebraico. Nel 2018 la knesset, il parlamento israeliano, ha approvato una legge che proclama Israele “stato nazionale del popolo ebraico”. Non una sola parola fa riferimento agli arabi israeliani.
Sistema a due classi
Molte comunità arabe, inoltre, sono trascurate rispetto a quelle ebraiche. Lo stato e la polizia sono assenti e le bande criminali hanno riempito il vuoto. Nel 2020 sono stati uccisi 95 arabi israeliani, molti di più rispetto agli ebrei. Eppure il numero di denunce è decisamente inferiore. Tamer Nafar cita altri esempi di questo sistema a due classi. “Quando chiami l’ambulanza, devi dire che hanno sparato a un ebreo”, dice. “Allora arrivano molto più velocemente”.
Nafar, 41 anni, è un attore e uno dei rapper più noti di Israele. È frustrato dal comportamento dei giornalisti: “Quando gli ebrei sono colpiti, tutti vogliono parlare con me. Ma dove sono quando si tratta dei problemi di noi palestinesi?”. Nafar è di Lod. È cresciuto con le tensioni della città, di cui parla spesso nella sua musica. Da anni osserva il crescente malcontento tra i giovani arabi. “La coesistenza in Israele si limita agli ebrei che mangiano hummus nei nostri ristoranti il sabato”, dice.
Il 12 maggio la polizia ha imposto un coprifuoco a Lod. Ma nuovi disordini sono scoppiati nelle città abitate da ebrei e arabi, con feriti da entrambe le parti. Inoltre la guerra contro Hamas si è intensificata e i razzi continuano a piovere sulle città israeliane. Ci sono anche segni di speranza: in molte città ebrei e palestinesi hanno organizzato marce congiunte per la pace.
A Lod, però, le due parti continuano a evitarsi. “Le tensioni peggiorano”, dice Muhamed Khalili. “Non so cosa succederà”. Gil Gabay ha visto le sue peggiori paure avverarsi il 13 maggio, quando il marito è uscito dalla sinagoga e un arabo israeliano l’ha accoltellato alla schiena. È sopravvissuto, ma è gravemente ferito. L’attacco è avvenuto davanti al loro palazzo, dove ebrei e palestinesi hanno vissuto a lungo fianco a fianco, come buoni vicini. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1410 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati