Nelle aree a maggioranza protestante e unionista dell’Irlanda del Nord gli ultimi quindici giorni, dal fine settimana di Pasqua in poi, sono stati segnati da rivolte e atti di violenza. Bombe molotov, mattoni e petardi sono stati lanciati contro le forze dell’ordine. Diverse auto sono state incendiate. Negli incidenti, che si sono verificati a Derry, Carrickfergus, Newtownabbey e soprattutto a Belfast, sono rimasti feriti almeno 88 poliziotti e 18 persone sono state arrestate.
Quali sono le cause della violenza? La risposta è politicamente delicata. Le scene degli ultimi giorni sono la manifestazione di una rabbia e di un’alienazione che maturano da anni all’interno della comunità unionista. Oggi il bersaglio di questo risentimento è il nuovo confine commerciale nel mare d’Irlanda, previsto dal Northern Ireland protocol, che fa parte del trattato negoziato tra il Regno Unito e l’Unione europea e in vigore dal 1 gennaio 2021, quando è finito il periodo di transizione della Brexit.
I controlli doganali sui prodotti in transito tra i porti l’Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito sono un affronto al senso d’identità dei protestanti e all’integrità dell’unione. A peggiorare la situazione ci sono le inevitabili conseguenze negative che un confine ha per il commercio.
Le violenze, inoltre, sono esplose subito dopo la controversa decisione di non perseguire alcuni politici del partito repubblicano Sinn féin (compresa la vice first minister Michelle O’Neill), accusati di aver violato a giugno le restrizioni anti-covid per partecipare al funerale di una figura di spicco del movimento, Bobby Storey.
Ma non è tutto. La rivolta è animata soprattutto da giovani (i ragazzi arrestati a Belfast il 3 aprile hanno tra i 13 e i 25 anni) che a quanto pare sono manovrati dai leader paramilitari locali. E molto probabilmente a infastidire questi ultimi non sono tanto il confine nel mare d’Irlanda e il funerale di Storey, quanto le recenti retate della polizia contro le loro attività criminali.
Le parole e la realtà
I politici nordirlandesi sono impegnati in feroci polemiche su quanto è successo. Tutti condannano la violenza, ma alcuni tendono a giustificare le rivendicazioni unioniste. Il Partito unionista democratico (Dup) ha invitato i cittadini “arrabbiati o frustrati” per la questione del confine o per la vicenda del funerale a esprimere la loro insoddisfazione con l’impegno politico e non con la violenza. Altri partiti hanno invece accusato i leader unionisti, e il Dup in particolare, di voler alimentare la tensione.
Ma le cose potrebbero essere più semplici. Per com’è cambiata la politica nordirlandese dopo l’accordo di pace del venerdì santo, siglato nel 1998, non dovrebbe essere difficile accettare la legittimità di certe rivendicazioni e allo stesso tempo sottolineare che la violenza non è giustificata e che i gruppi paramilitari di entrambi gli schieramenti non sono combattenti animati da princìpi politici ma criminali avvolti in bandiere.
In fondo, questi sono i temi di cui si era discusso approfonditamente durante il negoziato sulla Brexit, immaginando, però, la situazione opposta: un confine terrestre sull’isola d’Irlanda, che avrebbe provocato conseguenze economiche devastanti e rappresentato un insulto all’identità e allo stile di vita della comunità cattolica e repubblicana nordirlandese. Ma nessun atto di violenza da parte cattolica – presumibilmente fomentato da gruppi criminali per i loro interessi– sarebbe stato giustificato.
Negli ultimi tre anni a Londra si è parlato a lungo di un’ipotetica violenza nordirlandese e di come prevenirla. Ora che però la violenza è reale, si sta facendo troppo poco per affrontarla. I britannici, insomma, hanno finalmente chiuso con la Brexit, ma a quanto pare hanno anche smesso di discutere dell’impatto che l’uscita dall’Unione europea ha sull’Irlanda del Nord. Il problema è che le conseguenze di questo processo hanno appena cominciato a manifestarsi. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1405 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati