Nell’ottocento l’Europa è stata la culla della rivoluzione dei combustibili fossili. Oggi è decisa ad abbandonare queste fonti d’energia che finora hanno definito la storia contemporanea. L’obiettivo di azzerare le emissioni nette di anidride carbonica entro il 2050 è molto ambizioso. Ma quanto costerà la transizione energetica? In che misura costringerà gli europei a modificare il loro modo di vivere e lavorare? Dagli anni settanta gli scienziati e gli economisti sviluppano modelli per cercare di rispondere a queste domande. Sono simulazioni, ma per quanto incerte non c’è niente di meglio sui cui basare le decisioni politiche.

L’ultima analisi approfondita e completa del percorso verso la decarbonizzazione europea pubblicata dagli esperti della Commissione europea risale al novembre del 2018. In centinaia di pagine di analisi molto tecniche il documento spiega cosa vuol dire ridurre del 40 per cento le emissioni entro il 2030 e dell’80 per cento entro il 2050. Anticipando gli obiettivi più ambiziosi concordati nel 2020, gli esperti avevano incluso anche scenari che prevedevano l’azzeramento netto delle emissioni entro il 2050. A dicembre del 2020 un rapporto ancora più aggiornato sulla via europea all’azzeramento delle emissioni è stato pubblicato dalla società di consulenza McKinsey. I due studi differiscono nei dettagli, ma concordano nelle conclusioni generali.

Il cambiamento fondamentale deve avvenire nelle infrastrutture

La decarbonizzazione entro il 2050 è ambiziosa, ma fattibile. Secondo la McKinsey è possibile ottenere il 73 per cento delle riduzioni previste per il 2030 con tecnologie che sono mature o sono appena state adottate, come i motori elettrici. Solo il 5 per cento dei tagli necessari dipende da tecnologie ancora in fase embrionale. E se spingiamo il nostro sguardo fino al 2050, è possibile ottenere l’87 per cento delle riduzioni con tecnologie già utilizzate o, se non altro, sperimentate su scala ridotta. Il restante 13 per cento deve essere coperto da innovazioni creative.

Impiegare tutte queste tecnologie ha un costo enorme. La McKinsey parla di 28mila miliardi di euro per il periodo 2020-2050. Lo scenario più ambizioso della Commissione prevede 28.400 miliardi di euro tra il 2031 e il 2050. Migliaia di miliardi di euro dovranno essere investiti nel settore energetico per i pannelli solari, i parchi eolici, le batterie e la rete elettrica. Molti soldi dovranno essere spesi per modernizzare gli edifici, l’industria, l’agricoltura e, soprattutto, i trasporti.

Queste cifre mettono paura. Il pil dei 27 paesi dell’Unione europea nel 2019 è stato di poco inferiore ai 14mila miliardi di euro. La McKinsey suggerisce che per raggiungere l’impatto zero entro il 2050 l’Unione dovrebbe investire ogni anno il 5,8 per cento circa del suo pil. È una cifra notevole, ma in larga misura questi soldi ci sono già. La ridistribuzione di migliaia di miliardi di euro che scorrono nei settori ad alto consumo di combustibili fossili potrebbe coprire i quattro quinti degli investimenti necessari per un futuro pulito. Resterebbero da fare investimenti per circa 5.400 miliardi di euro in trent’anni, tra l’1 e l’1,5 per cento del pil. Una cifra che corrisponde alle stime della commissione. Di fatto l’1,2 per cento del pil è quanto i 27 paesi dell’Unione europea hanno speso nel 2019 per i loro eserciti.

Il grande interrogativo riguarda perciò non come mobilitare il nuovo denaro, ma come assicurarsi che gli investimenti esistenti vadano nella direzione giusta e producano un ritorno adeguato. Secondo la McKinsey da qui al 2030, a causa del costo elevato delle tecnologie rinnovabili nelle fasi iniziali, meno del 40 per cento degli investimenti produrrà ritorni adeguati. E qui entra in gioco la politica. Se il divario dovesse essere colmato dalla spesa pubblica, i governi europei dovrebbero, secondo la McKinsey, mobilitare 4.900 miliardi di euro sotto forma di sussidi nell’arco di trent’anni. Senza dubbio un sacrificio doloroso, ma certo non inconcepibile.

I soldi dei contribuenti, tuttavia, sono solo uno dei modi per indirizzare gli investimenti. Un’alternativa è dare un prezzo alle emissioni di anidride carbonica. La McKinsey stima che con un costo dell’anidride carbonica di 100 euro alla tonnellata si potrebbe coprire l’80 per cento degli investimenti necessari. I fondi generati da un sistema di vendita di emissioni potrebbero essere riciclati sotto forma di sussidi e altre spese. Gli interventi diretti resterebbero indispensabili nei settori in cui è più difficile abbattere le emissioni.

Al momento il bilancio dell’Unione europea è limitato all’1 per cento del pil. Il fondo NextGenerationEu è un passo nella direzione giusta, ma i 32 miliardi di euro all’anno che destina alla spesa per il clima nei prossimi sette anni sono troppo pochi. Aumentarli sarebbe difficile ma non impossibile da immaginare, soprattutto se la spesa di Bruxelles è rafforzata da risorse di singoli paesi e da istituti come la Banca europea degli investimenti.

Naturalmente non bisogna sottovalutare la portata di una sfida di queste proporzioni. Minuscoli gruppi d’interesse possono esercitare una pressione sproporzionata sulle politiche dell’Unione europea: l’influenza della lobby degli agricoltori francesi è leggendaria. I combustibili fossili hanno un ruolo fondamentale sul nostro stile di vita. Si sostiene spesso che è proprio questo a rendere non trattabile la questione della transizione energetica: riguarda davvero tutti. Tuttavia è ancora più straordinario il fatto che nel delineare l’itinerario verso l’azzeramento delle emissioni né la Commissione europea né la McKinsey presuppongono cambiamenti radicali nello stile di vita della popolazione europea. Meno viaggi e un uso più accorto dell’energia a casa potrebbero essere utili. Uno qualsiasi di questi cambiamenti farebbe oscillare la percentuale di un punto da una parte o dall’altra. Secondo la McKinsey una serie di cambiamenti delle nostre abitudini potrebbe ridurre le emissioni del 15 per cento, contribuendo in modo sostanziale a colmare il divario nei settori in cui è più difficile abbattere le emissioni. Tuttavia il cambiamento fondamentale deve avvenire nelle infrastrutture. Parchi eolici, pannelli solari ed elettrodotti punteggeranno il paesaggio. Ridefinire lo sfruttamento della terra sarà cruciale per raggiungere l’impatto zero.

Parlare della transizione energetica spesso evoca la paura di bollette più costose. Tuttavia sia la Commissione europea sia la McKinsey prevedono un aumento contenuto delle bollette dell’elettricità entro il 2030. Dopo il 2030, grazie a una sempre maggiore efficienza energetica delle famiglie, tutti gli scenari suggeriscono un calo dei costi. Entro il 2050 le famiglie europee dovrebbero spendere molto meno per l’elettricità.

Un altro motivo di preoccupazione è il lavoro. Entrambi i modelli prevedono che un’economia a impatto zero entro il 2050 genererà più posti di lavoro rispetto alla situazione attuale, segnata dalla dipendenza dai combustibili fossili. Il problema sta nelle disparità regionali. Il caso più difficile potrebbe essere quello della Polonia, che dipende ancora molto dal carbone.

Poco realistiche

Naturalmente queste previsioni potrebbero rivelarsi poco realistiche. Non sarebbe la prima volta nella storia che gli esperti sottovalutano una sfida gigantesca. L’adattamento potrebbe essere più violento. Le innovazioni necessarie potrebbero non materializzarsi. Ma se questi scenari sono veri anche solo per metà, il messaggio è chiaro. La decarbonizzazione potrebbe richiedere una mobilitazione collettiva neanche lontanamente paragonabile a quella delle emergenze in tempo di guerra o delle rivoluzioni sociali a cui a volte è paragonata.

E una trasformazione della vita quotidiana in Europa non è così profonda. L’impatto sull’occupazione dovrebbe essere molto meno doloroso di quello della deindustrializzazione degli anni settanta e ottanta. Qui però gli scenari della Commissione europea e della McKinsey nascondono un avvertimento. Per raggiungere l’obiettivo di eliminare le emissioni potrebbe essere necessario riqualificare 18 milioni di lavoratori entro il 2050. Ma è poca cosa rispetto ai 100 milioni che secondo le previsioni dovranno riqualificarsi di qui al 2030 a causa di quella che viene eufemisticamente definita “automazione”.

Le sfide politiche ed economiche che ci attendono sono enormi. Investire nella transizione all’energia pulita e nella modernizzazione ecologica potrebbe tuttavia rivelarsi un terreno in cui l’Europa può di fatto offrire ai suoi cittadini un futuro dinamico e promettente. ◆ gim

Adam Tooze _ è uno storico britannico della Columbia university, negli Stati Uniti. Ha scritto Lo schianto. 2008-2018. Come un decennio di crisi economica ha cambiato il mondo _ (Mondadori 2018).

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Questo articolo è uscito sul numero 1410 di Internazionale, a pagina 106. Compra questo numero | Abbonati