In questo breve romanzo ritroviamo i demoni, il tono poetico e il pessimismo profondo della scrittrice catalana. Baltasar è eccellente nel ritrarre personaggi senza nome, scarti di una società dei consumi che si accanisce sui poveri, “schiavi moderni” con un titolo di studio ma travolti da un ingranaggio spietato. La narratrice insiste su questa idea di schiavitù: lavori malpagati, senza contratto, abusivi. Tra tutte le precarietà, quella delle donne delle pulizie è di un genere a sé. Una giovane che da una ludoteca passa al lavoro domestico, “meticolosa fino all’ossessione”, abita nelle case che pulisce, appartamenti di lusso che non potrà mai avere e di cui si appropria di nascosto in un gesto di vendetta poetica. La città è una Barcellona spietata e gentrificata. La protagonista va alla deriva, sempre più isolata nonostante riceva qualche aiuto. I cartoni – simbolo dell’essere senza dimora in un sistema che fa della casa la punta di lancia della speculazione – diventano l’oggetto più desiderato, mentre lei riflette sulla nostra idea di sicurezza, fondata sulla finzione del “focolare”. E proprio questi oggetti, simboli del successo altrui, accendono in lei una sorta di erotismo nel toccare ciò che appartiene ad altri. La lingua di Baltasar è poetica: parole luminose, immagini che aprono il cielo, gli edifici e la notte arancione che odora di urina. Con queste visioni costruisce un ambiente enigmatico in cui la protagonista lotta per un’altra forma d’esistenza.
Valèria Gaillard,
El Periódico

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1642 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati