Esiste uno stile comunitario di vita. Come afferma la teorica del femminismo e attivista argentina Rita Segato, i popoli nativi hanno un modo particolare di affrontare i problemi, una filosofia esistenziale in cui non c’è spazio per una divisione netta tra l’uno e gli altri, e in cui gli spazi domestici, e la cucina in particolare, non sono suddivisi secondo le categorie di pubblico e privato.

Questo modo ancestrale di stare al mondo è spesso considerato un antidoto al narcisismo e alla smania di protagonismo del “modo occidentale” contemporaneo. Tenendo presente quanto detto, colpisce un testo, apparentemente uno tra i tanti, che Claudia Ruiz Sántiz ha pubblicato di recente su Instagram: “Siamo andati a perderci un po’. Cercando di mettere a terra i sentimenti e di riconnetterci dopo tanto vagare. Anche il corpo lo sente e si fa sentire. Per questo avevo bisogno di un momento di relax”.

Claudia Sántiz a San Cristóbal de Las Casas, in Messico, il 19 maggio 2025 (Isabel Mateos, Gatopardo)

Forse Sántiz l’ha detto perché sa di essere la chef che ha suscitato più scalpore in questo ambiente carico di invidia e di “pirati delle pentole” che un bel giorno si svegliano e decidono di fare gli esperti gastronomici, come se fossero il defunto Anthony Bourdain.

Per esempio il figlio di David Beckham, Brooklyn, dopo essersi cimentato come calciatore, modello e fotografo, ora ha deciso di diventare chef e ha lanciato un marchio di salsa piccante.

Claudia Sántiz non ha un padre famoso né un marchio che gira intorno alla sua immagine, ma nessuno può negarle il fatto di essere stata la prima donna di origine tzotzil a entrare nel 2021 nella lista dei cinquanta chef più promettenti della gastronomia internazionale: nella classifica Next 50 all’interno di The world’s 50 best restaurants. L’anno dopo Netflix l’ha invitata a partecipare al programma Iron Chef. México.

La lingua di Sánchez è parlata negli altopiani del Chiapas, in Messico, dove si mangiano tortillas fatte a mano servite con semi di zucca macinati e una salsa di pomodoro fresco con peperoncino.

Nella zona si beve il pox (un distillato di mais, grano e canna da zucchero), l’aguamiel – ottenuta dalla fermentazione dell’agave – e la chicha, un’altra bevanda fermentata. I nativi tzotzil hanno capre e pecore, ma la loro dieta è prevalentemente vegetariana: non consumano quasi mai latte o carne. La loro alimentazione si basa su una trinità: mais, peperoncino e fagioli.

Amor proprio

Partendo da qui Sántiz ha fondato il ristorante Kokono’, che in tzotzil significa epazote, una pianta molto usata nella cucina messicana. Si è laureata in gastronomia all’Università delle scienze e delle arti del Chiapas e ha pubblicato una tesi nella sua lingua madre. Da poco ha pubblicato anche un libro, intitolato Kokono’ de una mujer rebelde (Kokono’ di una donna ribelle), che ha presentato insieme a Enrique Olvera, uno chef con cui ha collaborato in passato nella cucina del ristorante stellato Pujol, a Città del Messico.

Pujol e il suo stile all’avanguardia sono ormai un ricordo. Oggi il discorso di Sántiz ruota attorno alla concezione del cibo come medicina e agli ingredienti che vengono dalla terra per preservare quel poco che resta di sano sul pianeta.

“Quando andiamo nei campi chiediamo il permesso alla terra per seminare. Ogni cosa ha un suo ciclo e noi dobbiamo rispettarlo, ma purtroppo è un atteggiamento che si sta perdendo. Dobbiamo ricordare che, come la terra dà a noi, noi dobbiamo restituire a lei”, ha detto in un’intervista.

“Quando andiamo nei campi chiediamo il permesso alla terra per seminare. Ogni cosa ha un suo ciclo e noi dobbiamo rispettarlo”

Sántiz difende quello che nel mondo è conosciuto come slow food, un movimento che promuove alimenti buoni, sani e giusti per tutti. Pensa anche che “la medicina è il nostro motore quotidiano”. Una cuoca invece di un medico o di un’infermiera? A quanto pare, il cibo del futuro ha a che fare con la salute della terra, con quella del corpo e, in un certo senso, con il mangiare meno, ma meglio.

Sántiz non sa come sia nato questo suo legame con gli alimenti, ma si è innamorata del cibo. È la testimonianza vivente di ciò che saranno i piatti del futuro? Il film La grande abbuffata, un esempio di gola portata agli estremi, diretto nel 1973 da Marco Ferreri, sarà probabilmente espressione di una civiltà passata.

Sántiz definisce la sua cucina attraverso la geografia: “A volte si parla genericamente di cibo, ma bisogna parlare di quello del luogo in cui si è cresciuti. Quando l’ho scoperto? O meglio, quando ne sono diventata consapevole? Ricordo mio nonno che tornava dai campi e diceva: ‘Devo recuperare le forze, vado a bere un pozol (bevanda a base di mais fermentato) con il peperoncino. Il peperoncino mi rimette in sesto. O pozol acido, per il sistema digestivo’. A 29 anni ho capito di volere un ristorante così, per nutrirmi in quel modo. Non volevo un ristorante qualsiasi. Quando l’ho aperto, non l’ho fatto perché volevo diventare milionaria”, dice.

Era il 2016 quando Sántiz ha inaugurato Kokono’ a San Cristóbal de Las Casas, capoluogo dello stato del Chiapas. E ha subito capito che stava facendo una rivoluzione.

Non apprezza i frigoriferi che si trovano nelle cucine delle case o nei ristoranti, e neanche i forni a microonde. Preferisce chiedersi: “Questo è nutriente?”, “Fa bene alla tua salute?”, “Come viene preparato?”, “Per quanto tempo è rimasto nel congelatore?”.

Biografia

1988 Nasce a San Juan Chamula, nello stato messicano del Chiapas.
2016 Apre il ristorante Kokono’ a San Cristóbal de Las Casas.
2021 È inserita nella lista 50 Next come promessa della gastronomia internazionale.
2022 Partecipa al programma Iron Chef. México.
2025 Esce il suo libro Kokono’ de una mujer rebelde (Aguilar).


Quello che mangiamo è il fondamento della vita, è questa la sintesi di Claudia Sántiz. “Tutto dipende dal nostro amor proprio, da come ci stiamo prendendo cura di noi stessi”.

“Anche l’alimentazione parte dalla consapevolezza, dal sapere cosa stai mettendo in bocca. Ora è diventato una moda e la gente finisce per seguire un certo ristorante che non è male o una certa marca di alimenti o una dieta. Dove sono nata non ho mai visto qualcuno che si fosse messo a dieta. Nessuno ha mai detto ‘Devo smettere di mangiare mais perché sto ingrassando’. Mai”, afferma.

Se è autentica, l’abbondanza va abbracciata, non rifiutata. Sántiz è convinta che il Chiapas abbia molto da offrire alla cucina messicana e mondiale. Così mette in tavola tutti gli ingredienti e tutti i sapori del posto: erbe, semi, tecniche per cucinarli.

Ribellione

Sántiz è grata al suo mentore, Enrique Olvera, “per aver incoraggiato quella ribellione e, soprattutto, per avermi aiutato a mettermi alla prova in molte occasioni. Come vivere a Città del Messico. Il primo giorno nella capitale avrei voluto tornare in Chiapas, ma Pujol è stata la mia scuola, dal punto di vista personale e professionale”, racconta.

Tuttavia ci tiene a sottolineare un altro aspetto: “La mia ribellione sta nel fatto che sono una cuoca, so di avere un titolo professionale e so anche di essermi guadagnata il titolo di chef, ma resto vicina alla terra e alle mie radici”. Oggi, più di 15 anni dopo aver lasciato la cucina di Pujol, il suo obiettivo non è quello di un ristorante stellato con una chef superstar.

“La mia filosofia è più umana, più orientata alla connessione, alla consapevolezza e all’essere coerente come persona. Sono un po’ la pecora nera della gastronomia”, dice. ◆ fr

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Questo articolo è uscito sul numero 1641 di Internazionale, a pagina 75. Compra questo numero | Abbonati