Andrew Miller è un maestro della sfumatura. Nella Terra d’inverno, ambientato nei primi anni sessanta, si concentra sulla difficoltà di amare in un mondo tutt’altro che accogliente. Il romanzo comincia con un suicidio: un giovane muore nel seminterrato di un ospedale psichiatrico e il suo corpo viene scoperto da un altro internato. Nessuno dei due sarà protagonista diretto della vicenda, ma la loro presenza inquieta stabilisce il tono di ciò che seguirà. La storia vera e propria riguarda due coppie: Eric Parry, medico di campagna originario del West Country, e sua moglie Irene, trasferiti in una remota casetta in cui lei fatica ad adattarsi; il vicino Bill Simmons, agricoltore improvvisato, e sua moglie Rita, un tempo ballerina a Bristol e ora casalinga. I nomi e le differenze sociali servono a indicare alcune dinamiche di classe e di genere ma Miller interpreta i suoi personaggi come più della semplice somma di quei tratti. Quando Eric risponde alla lode di una sua amante: “In effetti non sono sicuro di essere né un buon medico né un brav’uomo”, avvertiamo una verità dolorosa. Rita sembra a suo agio nel ruolo domestico eppure si perde nel suo mondo interiore. Lei e Irene stringono un’insolita sorellanza durante una festa di Natale e la successiva tormenta, quando fanno un pupazzo di neve su un pendio tra le loro case, in un’atmosfera gelida e sospesa. Entrambe aspettano un figlio e comprendono di trovarsi a un bivio che cambierà le loro vite nel bene e nel male.
Rachel Seiffert, The Guardian

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Questo articolo è uscito sul numero 1641 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati