“Attraverso le immagini satellitari lo Humanitarian research lab dell’Università di Yale, negli Stati Uniti, ha documentato la portata della distruzione e dei bombardamenti che hanno colpito Al Fashir, in Sudan”, scrive Atar. “‘Non riuscivo a credere ai miei occhi quando sono apparse le prime immagini’, ha dichiarato Nathaniel Raymond, il direttore del laboratorio. ‘Quelle macchie rosso scuro: ho pensato fossero un errore. In venticinque anni di lavoro non avevo mai visto un massacro simile, fatto con tanta rapidità e brutalità’. L’analisi del laboratorio di Yale indica che le Forze di supporto rapido (Rsf) hanno compiuto esecuzioni sistematiche nel quartiere Al Daraja al Oula, ad Al Fashir. Le immagini satellitari mostrano i loro veicoli lungo le strade, con macchie rosse intorno. Sono stati identificati almeno cinque siti con queste caratteristiche, e in tre sono state rilevate delle forme allungate, compatibili con le dimensioni di corpi umani”.

Il laboratorio ha identificato forme umane per terra anche in prossimità della barriera difensiva scavata dalle Rsf intorno alla città. Non erano presenti nelle immagini del 26 ottobre, il giorno in cui i paramilitari hanno conquistato la città, ma sono comparse in gran numero tra il 27 e il 28 ottobre. Altre immagini mostravano masse di persone dirette a sud, verso il campo per sfollati di Zamzam, e a ovest verso Tawila. Negli stessi giorni sono avvenute esecuzioni all’ex ospedale pediatrico: il 27 ottobre dall’alto era visibile una fila di figure umane raggruppate nel cortile dell’ospedale e delle macchie chiare, forse lenzuoli o sacchi per cadaveri sul lato opposto della strada. Il giorno dopo il cortile era punteggiato di molte più macchie chiare e le stesse figure allungate erano raggruppate in un unico punto, non più disposte in file”.

“Molti abitanti di Al Fashir appartenevano a minoranze etniche non arabe, che le Rsf – formate in gran parte da nomadi arabi – hanno preso di mira per tutta la guerra”, spiega Nicolas Niarchos sul settimanale statunitense New Yorker. Le Rsf sono considerate un’emanazione dei janjawid, le temibili milizie arabe finanziate dal governo di Khartoum che terrorizzarono le popolazioni del Darfur all’inizio degli anni duemila. “I primi a finire nel mirino delle Rsf sono stati i fur e i zaghawa. Altahir Hashim, un attivista sudanese che ha aiutato a fondare una mensa comunitaria ad Al Fashir, non ha dubbi: ‘Stanno facendo una pulizia etnica’”.

La caduta di Al Fashir ha incoraggiato le Rsf a espandere il loro controllo oltre il Darfur. Hanno lanciato un’offensiva nel vicino Kordofan, dove hanno conquistato la città di Bara. Anche lì sono stati denunciati massacri: la Rete dei medici sudanesi, che documenta le violenze in tutto il paese, ha affermato che “decine di cadaveri sono ammucchiati nelle case di Bara” e che alle famiglie viene impedito di recuperarli, scrive Rfi.

Pressioni diplomatiche

Il 6 novembre le Rsf, comandate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, hanno accettato la proposta di tregua umanitaria presentata dal quartetto formato da Stati Uniti, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. “L’esercito e le Rsf si stanno avvicinando a un accordo per un cessate il fuoco umanitario dopo un intenso ciclo di colloqui al Cairo”, scrive il sito egiziano Mada Masr. “La proposta prevede un cessate il fuoco umanitario di tre mesi, durante i quali si terranno negoziati per una tregua permanente e per avviare un dialogo tra i rappresentanti dell’esercito, delle Rsf e di tutte le forze sudanesi. L’obiettivo è formare un’autorità di governo congiunta per una transizione di tre anni. I colloqui ospitati a Washington alcune settimane fa non avevano dato risultati, ma sono ripresi a seguito delle crescenti pressioni internazionali dopo i massacri di Al Fashir”.

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Questo articolo è uscito sul numero 1640 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati