Il sesto album della band britannica racconta in maniera epica e in profondità la rabbia, in tutte le sue manifestazioni: vendetta, indignazione, dispiacere e disprezzo. Anche se alcune canzoni sono appesantite dalla teatralità, i temi femministi sembrano adatti a questi tempi in cui i diritti delle donne stanno facendo passi indietro. Everybody scream raccoglie il dolore della cantante Florence Welch, che ha scritto le canzoni dopo un aborto spontaneo. In questo passaggio esistenziale è stata assalita da una rabbia nei confronti dell’universo. Continuando il discorso catartico cominciato nel precedente Dance fever, qui però il riferimento musicale è Ceremonials. Da quel secondo lavoro a oggi il gruppo è migliorato: le idee sono più a fuoco, le armonie più grandiose e gli arrangiamenti stratificati. La voce è sottoposta a un riverbero maggiore ed è meno precisa del solito, come se volesse trasmettere la passione di una performance dal vivo. Nel disco Welsh non fugge mai dalla sua mitologia: è una cowboy, una rockstar, un mostro e una dea; nel penultimo brano, You can have it all, piange la perdita del figlio e di fiducia nella vita. Se da una parte la musica di Everybody scream non sorprende, dall’altra prova il valore dell’artista, aggiungendo un tassello significativo alla conversazione sui ruoli di genere e sulla rabbia femminile.
Rachel Kelly, Exclaim
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Questo articolo è uscito sul numero 1639 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati