Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha compiuto una visita-lampo in Israele ed Egitto per celebrare l’accordo tra il governo israeliano di Benjamin Netanyahu e il movimento islamista palestinese Hamas. Per Trump la fragile tregua “non solo segna la fine della guerra” ma anche “l’alba di un nuovo Medio Oriente” che sarà ricordata come “il momento in cui tutto ha cominciato a cambiare”. Il presidente ha ricevuto 33 standing ovation dal parlamento israeliano ed è stato definito “il miglior amico che Israele abbia mai avuto alla Casa Bianca” e “un gigante” della storia ebraica.
Tra gli applausi e i sorrisi, nemmeno un istante è stato speso per ricordare i quasi settantamila palestinesi massacrati, le vittime ancora sepolte sotto le macerie di Gaza e le centinaia di migliaia di persone stremate dalla fame a causa del blocco degli aiuti umanitari. Mentre Netanyahu assicurava di essere “impegnato per la pace”, le truppe di occupazione facevano incursioni in Cisgiordania demolendo le case dei prigionieri palestinesi liberati in base all’accordo.
Una tale distanza tra le parole e i fatti dimostra che il presunto cessate il fuoco non merita il nome di pace. Si tratta di un’imposizione neocoloniale che mira a consolidare la violenza sionista, rafforzare il ruolo imperiale di Washington nella regione e permettere ai complici di Israele di giustificare il genocidio. Per arrivare alla pace ci vorrebbe il riconoscimento pieno della sovranità palestinese su Gaza, sulla Cisgiordania e su Gerusalemme Est, un processo ai responsabili dei crimini di guerra e ai promotori della pulizia etnica, il disarmo di Israele sotto la supervisione internazionale e la fine delle ideologie del suprematismo razziale sionista.
Egitto, Qatar e Turchia, che si sono impegnati come garanti dell’accordo, hanno il dovere di esigere condizioni minime per la sopravvivenza del popolo palestinese: la fine dell’occupazione della Cisgiordania da parte delle truppe e dei coloni israeliani, la liberazione di tutti i prigionieri palestinesi, la fine delle provocazioni e il ritiro da Gaza dei militari israeliani, in modo da permettere la consegna degli aiuti umanitari e la ricostruzione. Allo stesso tempo, è indispensabile che la comunità internazionale approfitti di qualsiasi opportunità per fare pressione su Washington e Tel Aviv affinché favoriscano la nascita di uno stato palestinese, che nel piano di Trump è un obiettivo rinviabile all’infinito e subordinato ai capricci di Israele. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1636 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati