Camila Sosa Villada (Xose Bouzas, Hans Lucas/Contrasto)

Quando aveva appena pubblicato Le cattive (Sur 2021), Camila Sosa Villada mi aveva detto che la letteratura è sempre un atto di travestitismo, perché cerca di costruire qualcosa di nuovo con codici antichi. In quel romanzo mescolava il magico e l’autobiografico per rappresentare le comunità di trans e travestite di Córdoba, la città in cui vive in Argentina. Ora sembra essersi chiesta cosa sarebbe successo a quelle persone se le cose fossero andate un po’ meglio. Si cala nella mente di un’attrice che ha ottenuto stabilità sociale, economica e affettiva per esplorare cosa cede quando tutto sembra più o meno a posto. Secondo lei è sempre una storia fantastica perché la vita di una travestita è già di per sé un’anomalia rispetto all’ambiente che la circonda. E sembra che denaro e accettazione sociale non bastino a salvarla. La protagonista senza nome di Scene da una domesticazione ha molto della sua autrice, perché come lei è magnetica ma anche sfuggente. Come la protagonista delle Cattive è cresciuta circondata dall’odio dei suoi vicini in un paesino della sierra cordobese e ha vissuto di prostituzione, ma nel suo caso ha raggiunto il sogno della classe media: successo e ricchezza, un patto di non aggressione con i genitori, un marito e un figlio che la amano. Tutto questo però è solo apparenza. Sosa allarga e restringe il campo per mostrare “ciò che s’incista con l’arrivo dei figli, ciò che si cristallizza quando la vita si stabilizza”. Quello della noia borghese è un topos letterario, ma Villada lo riformula e lo rende interessante presentandoci dei personaggi vibranti. Come se fosse uscita da una miscela tra il tragico di Marguerite Duras e l’eccentrico di Almodóvar, la protagonista del romanzo s’interroga su cosa accade quando le istituzioni accettano la sua differenza, quando non ci sono più oppressioni a tenere alta la tensione e dipende solo da se stessi non lasciarsi schiacciare dalla morsa dell’abitudine. L’autrice vuole farci provare la stessa asfissia della protagonista con continui flash­back, digressioni e proiezioni. È un modo di narrare più conservatore e contenuto rispetto a Le cattive: è un po’come se Villada avesse borghesizzato la scrittura così come la protagonista ha borghesizzato la propria vita. Carlota Rubio, El País

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Questo articolo è uscito sul numero 1633 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati