Un misterioso virus senza nome che sembra diffondersi come l’aids trasforma gradualmente le sue vittime in statue di marmo. Questa lenta metamorfosi è una delle idee visive potenti di un film sofisticato e spettacolare. Ducournau sa come creare immagini potenti ma qui evita gli effetti sconvolgenti dei suoi primi lungometraggi. Attraverso un nucleo familiare disfunzionale, con un’adolescente che ha rischiato il contagio, una madre coraggiosa (Farahani) e uno zio tossicodipendente (Rahim), la regista c’invita a sperimentare i margini, la paura e il rifiuto durante un lungo flirt con la morte che alla fine assume una piega quasi mistica. Boris Bastide, Le Monde
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Questo articolo è uscito sul numero 1632 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati