I settantenni non hanno combattuto la seconda guerra mondiale. Su questo non dovrebbero esserci dubbi, dato che anche chi ha 79 anni è nato dopo la fine del conflitto. Eppure tendiamo ancora ad associare questa fascia d’età al periodo bellico. Un errore simile è frequente quando si pensa ai genitori e alla tecnologia. La società sembra aver concluso che i social media e internet sono misteri impenetrabili per i genitori, quindi dev’essere lo stato a proteggere i bambini dai giganti della tecnologia, come ha fatto l’Australia vietando i social media ai minori di 16 anni. Eppure molti genitori degli adolescenti di oggi sono loro stessi dei nativi digitali. Abbiamo deciso che persone cresciute usando MySpace oggi siano incapaci di capire come i loro figli usano TikTok o Fortnite. Esistono già semplici strumenti per limitare l’accesso dei bambini a internet, come modificare le impostazioni dei router o chiedere il consenso dei genitori per installare le app. Ma i politici sembrano convinti che per farlo serva un dottorato in ingegneria elettronica, e preferiscono le restrizioni a tappeto. Invece di chiedere a chiunque di identificarsi e verificare la propria età, perché non fidarsi dei genitori?
Non riuscire a tenere il passo delle svolte generazionali può causare problemi più grandi. Rischiamo di combattere la guerra sbagliata. Gli stessi politici che limitano i social media approvano senza remore l’intelligenza artificiale (ia) basata sui modelli linguistici di grandi dimensioni, eppure sarà questa tecnologia ad avere le conseguenze più profonde sugli adolescenti di oggi, non da ultimo perché gli insegnanti si chiedono come faranno a dare compiti a prova di ChatGpt. Invece di vietare le cose bisognerebbe incoraggiare un dibattito aperto sui social media, l’ia e le tecnologie future, nella società come nelle famiglie . ◆ gac
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Questo articolo è uscito sul numero 1631 di Internazionale, a pagina 15. Compra questo numero | Abbonati