Ci sono pochi momenti di leggerezza in Identitti, il provocatorio e complesso romanzo d’esordio di Mithu Sanyal. Nivedita (ovvero Identitti) è una blogger non bianca e dottoranda in studi postcoloniali che lavora sotto la guida della brillante e affascinante Saraswati, una star del mondo accademico la cui celebrità va ben oltre il campus. L’unico problema, scopre Nivedita, è che Saraswati, che si presenta come una donna indiana, in realtà è bianca. Il suo vero nome è Sarah. Abbiamo già visto questa storia svolgersi nella realtà, nel mondo accademico. Rachel Dolezal, una docente di studi afroamericani che affermava d’identificarsi come nera, è un paragone ovvio. Tuttavia Saraswati sostiene che l’identità da lei assunta non è un inganno. A volte lo fa in modo così convincente che Nivedita quasi finisce per crederle. Per Nivedita Saraswati non è solo una relatrice, ma un oggetto di ossessione, e scoprire come stanno le cose rappresenta per lei un colpo terribile. Identitti è una storia stimolante, in cui Mithu Sanyal rifiuta di offrirci una via d’uscita facile. Non aspettatevi una demonizzazione semplicistica di chi abbandona la propria bianchezza in favore della melanina. Un’autrice priva della sicurezza di Sanyal avrebbe forse ritratto Saraswati come una cattiva senza appello. Invece ha costruito un personaggio così eloquente nelle sue argomentazioni che non si può fare a meno di concordare con Nivedita quando dice: “Tutto quello che dici è giusto… ma quello che hai fatto resta sbagliato”. Ma perché il suo “travestimento razziale” è sbagliato, esattamente? Sanyal non ha alcuna intenzione di darci una risposta definitiva, preferendo lasciarci quel brivido da aula universitaria, ovvero doverci arrivare da soli.
Olivia Craighead, The New York Times

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Questo articolo è uscito sul numero 1623 di Internazionale, a pagina 113. Compra questo numero | Abbonati