In Iran l’attacco israeliano ha avuto l’effetto di compattare i mezzi d’informazione e rafforzare il loro sostegno al governo. Secondo il quotidiano riformista Shargh questa reazione si registra anche nell’opinione pubblica, consapevole che “questa volta la Repubblica islamica ha negoziato e si è mostrata flessibile per evitare” il conflitto e pronta a “resistere e difendere il patrimonio nazionale”, “rafforzare la solidarietà” e “tenere alto il morale”. Anche per Hammihan, un altro giornale riformista, è il momento di “mettere da parte convinzioni e interessi personali per il bene comune”. Proprio come è successo durante la guerra contro l’Iraq negli anni ottanta, quando “il fronte ha unito etnie, gruppi e correnti intellettuali”, oggi la popolazione “deve collaborare” con le autorità. A differenza del passato, però, oggi non c’è “un fronte militare compatto”, prosegue il quotidiano, secondo cui l’unità nazionale deve quindi essere difesa soprattutto puntando su altri settori, come la cultura, l’istruzione, le istituzioni civili e i mezzi d’informazione.
Diversi giornali sottolineano la tempistica dell’attacco israeliano, arrivato mentre erano in corso i negoziati con gli Stati Uniti sul nucleare iraniano. Riprendendo le parole di Esmail Baghaei, portavoce del ministro degli esteri, il quotidiano Tehran Times, vicino al regime, ricorda che l’Iran era “nel pieno di un percorso diplomatico” al momento dell’“aggressione”, che non si sarebbe potuta verificare senza “il coordinamento o almeno la tacita approvazione di Washington”. Il giornale accusa Israele di minimizzare i danni inflitti dalla controffensiva iraniana sul suo territorio e i mezzi d’informazione occidentali di “distorcere la narrazione” invertendo i ruoli dell’aggressore e della vittima: “Non è una questione d’interpretazione. Un paese è stato attaccato. Sono stati uccisi dei civili. Sono stati presi di mira impianti nucleari. Un resoconto onesto dovrebbe riflettere questi fatti fondamentali”. Anche il giornale ultraconservatore Javan, legato ai Guardiani della rivoluzione, denuncia il sostegno di Washington all’attacco israeliano, condannando i paesi del Golfo che ospitano basi militari statunitensi sul loro territorio.
Il sito riformista Asr-e Iran, invece, critica il regime per “non aver preso sul serio gli avvertimenti su possibili infiltrazioni” dei servizi segreti israeliani e suggerisce che, se Teheran non sarà in grado di “far pentire” gli israeliani del loro attacco con una rappresaglia su vasta scala, sarebbe meglio “prendere in considerazione una revisione approfondita della sua politica” nei confronti di Tel Aviv.
Voci dalla diaspora
La situazione è seguita attentamente anche dalla stampa iraniana della diaspora. Radio Farda, il canale sull’Iran dell’emittente Radio Free Europe/Radio Liberty, racconta le scene di panico tra gli abitanti della capitale, messi in fuga dagli avvertimenti dell’esercito israeliano: “Foto e video diffusi sui social media mostrano le strade di Teheran intasate dal traffico mentre le persone cercano di lasciare la città”. Il sito raccoglie le voci di vari iraniani, alcuni dei quali erano bambini durante la guerra contro l’Iraq negli anni ottanta e ora rivivono l’incubo da genitori. “Non avrei mai pensato di assistere a due guerre nel corso della mia vita, e di certo non volevo che mio figlio vivesse un’esperienza simile”, ha raccontato una donna che ha chiesto di rimanere anonima.
Anche Iran International riporta le voci degli abitanti di Teheran, presi tra la paura della guerra e la diffidenza nei confronti del regime: “Pochi credono che la leadership iraniana darà priorità alla popolazione rispetto alla sua sopravvivenza. Si respira un’aria di abbandono”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1619 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati