Nulla lasciava presagire che nel momento più freddo dell’inverno Yukari Chikura sarebbe andata in alcuni villaggi del nordest del Giappone per realizzare un incredibile lavoro documentario e un libro fotografico che avrebbe fatto epoca.

Nata a Tokyo e diplomata al conservatorio, Yukari Chikura lavorava come compositrice e arrangiatrice. La musica era il suo mondo e usava la fotografia solo per le foto ricordo durante i suoi viaggi. Ma tutto è cambiato in seguito a una serie di eventi drammatici che hanno sconvolto la sua vita. Prima di tutto la morte improvvisa del padre, che non le ha permesso neanche di salutarlo.

“Dopo la sua morte ogni miglioramento sembrava impossibile, la casa era piena di dolore, sotto shock. Restavo seduta in camera mia aspettando di sentire la voce di mio padre, e invece sentivo il pianto di mia sorella. Il dolore mi divorava lo spirito e il fisico. In quel periodo mi sono anche ferita gravemente, ho perso l’odorato e non riuscivo più a camminare. Quelle ferite potevano costarmi la vita, sentivo la morte seduta al mio fianco, in attesa”.

Attori del teatro nō dei villaggi si riuniscono a Nishi-no-Kakuchi, dietro il santuario, per eseguire la gongen mai, una danza rituale. (tutte le foto © Yukari Chikura)

Mentre la donna era ancora profondamente destabilizzata, nel 2011 il terremoto e lo tsunami hanno colpito la regione del Tohoku causando diciottomila vittime tra morti e dispersi, migliaia di feriti, enormi danni materiali, e provocando un profondo trauma nazionale. “La nostra tragedia personale sembrava riflessa in quella dell’intero paese. Guardando le onde inghiottire la città del nord e le case bruciare una dopo l’altra, la popolazione giapponese ha provato una disperazione inimmaginabile, in un istante abbiamo perso ogni speranza. Come incubi che si susseguono, queste nuove realtà hanno distrutto il mio corpo e la mia anima, come se fossi stata picchiata a sangue”.

Vecchie foto in un negozio di liquori aperto dal 1856.

A tutto ciò bisogna aggiungere le esperienze vissute da Yukari Chikura nel 2007 e 2008, che hanno profondamente modificato il suo rapporto con la fotografia. Viaggiando in Cambogia trent’anni dopo il genocidio dei khmer rossi, Chikura è stata colpita dalle cicatrici ancora visibili di quel periodo storico, e ha realizzato una serie intitolata Living at killing fields, sulla vita quotidiana delle persone che abitano nei luoghi delle esecuzioni di massa, diventati oggi una meta di pellegrinaggio. In quell’occasione si è resa conto dell’importanza della fotografia rispetto alla memoria. Una notte il padre le è apparso in sogno dicendole: “Vai nel villaggio sepolto nella neve dove ho vissuto tanto tempo fa”.

Il rito delle abluzioni con acqua gelida.

Così ha preso il treno e ha scoperto la regione montuosa e isolata da dove proveniva il padre e soprattutto ha potuto vedere il rituale dello zaido, di cui aveva a malapena sentito parlare. Il secondo giorno del nuovo anno gli abitanti dei villaggi della zona (Ōsato, Azukizawa, Nagamine e Taninai) si riuniscono dopo aver raggiunto a piedi nella neve un santuario shintoista, vestiti con i costumi tradizionali, ed eseguono sette danze rituali e alcune cerimonie propiziatorie (bagnarsi nudi nell’acqua ghiacciata a una temperatura che può raggiungere i 20 gradi sotto zero, bere l’acqua del santuario con un cucchiaio di bambù, il tutto preceduto da un periodo di digiuno e da altre pratiche per purificare il corpo e l’anima) per invocare un anno favorevole. La pratica, che ha più di 1.300 anni, ha rischiato di scomparire dopo un incendio che ha distrutto una parte dei documenti fondativi e il furto di un’importante maschera d’oro. Ma grazie alla tradizione orale, alla volontà di continuare ad affermare una propria identità culturale e alla forza della comunità, queste tradizioni sono riuscite a sopravvivere, creando un legame tra le generazioni, anche se le loro basi, come quelle di altre pratiche molto antiche, rimangono fragili.

La neve ricopre i campi in un inverno molto rigido.

Dal 2012 Chikura è tornata sul posto a ogni inizio d’anno scattando tante fotografie. E continua ad andarci regolarmente, anche se gran parte del lavoro pubblicato è stato realizzato nei primi viaggi. Ha documentato tutti i momenti della cerimonia, la camminata nella neve in un’atmosfera nebbiosa, le danze, l’interno del santuario, le maschere.

Per realizzare il suo libro raffinato, prodotto con diversi tipi di carta, la fotografa ha accostato una ricca documentazione a nature morte. Ne risulta un lavoro poetico in cui aleggia il mistero, lontano da qualunque esotismo. L’autrice ha mescolato colori dalle tonalità dolci e un bianco e nero leggero, tinte quasi sfumate che talvolta scompaiono di fronte alla vibrazione dell’oro di una maschera. “In Zaido ho scelto di mischiare il colore e il bianco e nero per creare un mondo in cui realtà e irrealtà, passato e presente si confondono, uno spazio che sembra etereo ma profondamente radicato nel tempo. Il bianco e nero elimina le distrazioni del mondo concreto, rivelando l’essenza della forma, della struttura e dello spirito. Trasmette una sensazione di atemporalità, come un ricordo o un sogno irraggiungibile. Nella sua tranquilla profondità evoca il sacro e l’eterno, permettendo al rituale di esistere di per sé. Il colore, invece, infonde vita al presente. Le tinte vivaci dei costumi, gli azzurri pallidi e ghiacciati della foschia mattutina e il gioco delicato della luce e dell’ombra ci fanno entrare nell’atmosfera. Unendo questi due linguaggi ho cercato di esprimere la dualità dello zaido, la sua permanenza e la sua bellezza effimera, dove sacro e quotidiano convivono. Volevo che lo spettatore si muovesse tra questi due regni, che sentisse il peso della storia e il respiro del presente, come se attraversasse un sogno dove passato e presente si fondono in un unico elemento”.

Bambini ballano la danza degli uccelli.

Zaido è ovviamente un omaggio della fotografa al padre. Ma il lavoro, che conserva le tracce di una pratica secolare e collettiva ancora viva, mette in risalto l’importanza di culture spesso ignorate o trasformate in elementi folcloristici (tratti del tutto assenti in questo lavoro), e della loro funzione nella creazione di strutture sociali.

Yukari Chikura, che oggi lavora sugli “effetti profondi del cambiamento climatico e dell’impatto umano sull’ambiente”, afferma con serenità il potere di una fotografia che, senza ridursi all’etnologia o alla semplice descrizione, svolge un importante ruolo di conservazione, di testimonianza e di memoria. ◆ adr

Il libro

Zaido, già esposto in Giappone e all’estero, è ora parte di prestigiose collezioni come quella del Met e del Moma di New York, della Tate di Londra e della Bibliothèque nationale de France. Il libro, oggi esaurito, è stato pubblicato da Steidl nel 2020 e sarà ripubblicato in un cofanetto di otto volumi vincitori dello Steidl book award Asia insieme ai lavori di fotografi provenienti dal Giappone, dall’India, da Singapore, dalla Cina, dalla Corea del Sud e dalle Filippine.


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Questo articolo è uscito sul numero 1619 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati