Le elezioni del 1 giugno per scegliere i giudici in Messico hanno fallito proprio dove gli organizzatori insistevano di più: la partecipazione popolare. Ha votato solo il 13 per cento degli aventi diritto. Per la prima volta nella sua storia il Messico ha eletto con il voto popolare migliaia di giudici, magistrati e funzionari a ogni livello del potere giudiziario. È l’inizio di un percorso difficile: si dovrà mettere in pratica una riforma dall’impatto enorme, senza precedenti a livello mondiale e dai risultati incerti.

La popolazione ha accolto l’iniziativa con poco entusiasmo. Il disinteresse nasce soprattutto dal fatto che per i 2.600 incarichi disponibili si sono presentate figure sconosciute alla maggioranza degli elettori. Inoltre le schede, con decine di nomi per ogni carica, hanno creato confusione.

Il risultato è paradossale: una profonda modifica istituzionale non ha avuto un sostegno proporzionato alle sue ambizioni. La riforma era stata proposta quando era presidente Andrés Manuel López Obrador, che però non aveva la maggioranza necessaria in parlamento. Solo la schiacciante vittoria elettorale di Claudia Sheinbaum (dello stesso partito), che oggi ha preso il suo posto, ha permesso a López Obrador di approvarla alla fine del suo mandato. La riforma è la prosecuzione di un progetto politico che ha avuto il sostegno di milioni di cittadini.

Tuttavia in una democrazia la legittimità si costruisce anche attraverso la partecipazione, la riflessione e il consenso. La riforma è stata approvata con una procedura accelerata e da un parlamento controllato dal partito di governo, senza coinvolgere studiosi, giuristi critici o discutere con la cittadinanza.

Il sistema giudiziario messicano ha alcuni difetti strutturali: giudici che agiscono sotto minaccia o sono corrotti in un paese dove più del 90 per cento dei crimini resta impunito e migliaia di persone innocenti sono in prigione o aspettano anni prima di una sentenza. Ma riconoscere il problema non significa che si possono smantellare le garanzie costituzionali prima di aver costruito un’alternativa solida. Il governo dovrà fare in modo che il cambiamento non sacrifichi la giustizia in nome della democrazia. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1617 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati