Joan Didion (Liz O. Baylen, Los Angeles Times/Getty)

Le centocinquanta pagine di appunti che costituiscono la maggior parte di questa raccolta sono state trovate, dopo la morte di Joan Didion (1934-2021), in una piccola cartella accanto ad altri ricordi: il testo del discorso tenuto al matrimonio di sua figlia, ricevute di prenotazioni alberghiere, una lista degli invitati a una festa di Natale e le password del computer. “Nessuna restrizione è stata imposta all’accesso,” si legge nell’introduzione anonima del libro. Gli appunti sono resoconti delle sedute che Didion ebbe con il suo psichiatra, Roger MacKinnon, dal dicembre 1999 al gennaio 2002. Indirizzati al marito, John Gregory Dunne, questi scritti mostrano uno sforzo di mettere ordine nei pensieri durante un periodo difficile per la sua famiglia. Si concentrano principalmente sull’unica figlia della coppia, Quintana, morta nel 2005 all’età di 39 anni. Nel corso dei suoi 87 anni, Didion pubblicò cinque romanzi e undici opere di saggistica, oltre a opere teatrali, sceneggiature e un’infinità di articoli. I suoi primi lavori le valsero la fama di scrittrice di grande introspezione, trattenuta però da un’apparente freddezza. Negli ultimi anni della sua vita Didion s’immerse nel tumulto emotivo del lutto con due libri: L’anno del pensiero magico, sulla morte improvvisa di Dunne, e Blue nights, scritto dopo la lunga malattia e la morte di Quintana. Più che diretto, Diario per John è nudo. È Didion, ma “straordinariamente intima”, proprio come promette l’introduzione. In questa promessa è implicito l’accesso a un livello diverso dell’umanità della scrittrice, e per estensione, della nostra. Eppure il libro elude una serie di domande: perché abbiamo bisogno di vedere gli scrittori (o chiunque altro) nel momento di massima apertura e disperazione per convincerci che siano umani? Come cambia la nostra percezione del confine tra arte e sfruttamento quando uno scrittore muore e non può più prendere decisioni per sé? Il libro mostra Didion alle prese con il linguaggio ma questo linguaggio non è lo stesso della sua arte. In queste pagine vediamo che, almeno per tre anni, la lucida osservatrice era meno padrona di sé di quanto non sia mai apparsa nei libri che pubblicava. Non so perché abbiamo bisogno di un nuovo libro per capirlo. Lynn Steger Strong, The Atlantic

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Questo articolo è uscito sul numero 1612 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati