Dopo tre anni e mezzo di negoziati, i paesi dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) si sono accordati su una serie di misure per prevenire e contrastare le prossime pandemie. Il 16 aprile l’organo intergovernativo per i negoziati ha proposto una bozza di accordo da far adottare all’Assemblea mondiale della sanità a maggio. Anche se meno ambiziosa della prima versione, è comunque un risultato importante, considerate le diverse priorità tra i paesi del nord del mondo e i quelli in via di sviluppo, soprattutto alla luce del fatto che gli Stati Uniti hanno lasciato l’Oms a gennaio.
I paesi ricchi si erano tirati indietro davanti alla prospettiva di un impegno per la condivisione delle diagnosi, delle cure, dei vaccini e delle tecnologie, mentre quelli poveri avevano esitato ad accettare di condividere campioni di patogeni e sequenze genetiche senza la garanzia di accesso ai test, alle cure e ai vaccini sviluppati usando quel materiale. Il risultato più significativo è l’accordo globale proprio su questo: le economie in via di sviluppo che condivideranno i campioni e il genoma dei patogeni avranno l’accesso a tutte le diagnosi, i vaccini e le cure sviluppati a partire dai dati e dai campioni messi a disposizione.
Le trattative sul modo in cui saranno condivisi campioni, vaccini o farmaci proseguiranno. Le aziende farmaceutiche si sono impegnate a donare il 10 per cento della produzione all’Oms e a offrirne un altro 10 per cento a prezzi accessibili. La pandemia di covid-19 ha evidenziato le disuguaglianze nella distribuzione dei vaccini. Secondo la rivista Nature, “invocando un accesso equo ai prodotti sanitari, l’accordo sottolinea che i paesi dovrebbero ‘promuovere, facilitare o incentivare’ lo scambio di tecnologia e conoscenze” per permettere ai paesi poveri di produrre i loro vaccini. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1611 di Internazionale, a pagina 15. Compra questo numero | Abbonati