Il 24 maggio in Mali il presidente Bah N’Daw ( nella foto ) e il premier Moctar Ouane, incaricati di gestire l’attuale fase di transizione, sono stati arrestati e rinchiusi nella base militare di Kati, vicino alla capitale Bamako. È la stessa base in cui era stato portato il presidente eletto Ibrahim Boubacar Keïta dopo l’ultimo colpo di stato, il 18 agosto 2020. Il 25 maggio il colonnello e vicepresidente Assimi Goïta, autore dell’ultimo golpe, ha dichiarato di aver preso il potere perché non era stato consultato sulla formazione del nuovo governo. Dall’esecutivo presentato da Ouane poche ore prima erano stati esclusi due militari che avevano partecipato al golpe di agosto. Goïta accusa N’Daw e Ouane di voler sabotare il ritorno alla democrazia, che in base agli accordi di governo avrebbe dovuto compiersi entro marzo del 2022. “Non è un buon segno per il Mali se l’esercito pretende di gestire il potere, invece di difendere l’integrità del territorio. Tanto più che non riesce a fare neanche questo”, scrive il quotidiano burkinabé Le Pays, ricordando che il Mali è diventato “il rifugio di terroristi di ogni sorta”. In questo modo i militari “perdono ulteriore credito agli occhi dei maliani e forniscono altre ragioni per farsi bacchettare dalla società civile. Dimostrano di agire per i loro interessi, invece di fare in modo che il Mali superi la difficile situazione in cui si trova”.
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Questo articolo è uscito sul numero 1411 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati