L’itinerario sembra semplice. Sali sul tram 21 davanti alla sede della milizia, e ti lasci portare fino al capolinea, guardando “strade contorte, gronde bucate, ville pendenti, scuole inutilizzabili, negozi a sette piani, deformi e spettrali”, come se tutta la tua vita si muovesse e si proiettasse nella Bucarest addormentata, la Bucarest in rovina, la Bucarest che è sempre stata addormentata e in rovina. Poi superi Doamna Ghica e arrivi a Colentina, il quartiere più lontano, dove finisce “non la città ma la realtà”. Lì i ricordi s’interrompono. Non è più la tua vita che si proietta sulle case rade, sulla torre dell’acqua, sulla scuola dove d’ora in poi ti chiuderai ogni giorno fino alla fine. È la vita di un altro, la vita di ogni altro, di ogni essere umano quando cessa di essere se stesso, di credere di essere se stesso. Deponi la tua memoria, i tuoi amori, le tue vecchie speranze inutili. Il combattimento avrà inizio. Quale combattimento?
Contro cosa? Sognando quale vittoria? Andando incontro a quale sconfitta? Solenoide riunisce il più formidabile accumulo di risposte che un romanzo possa contenere. Questo non è un romanzo fiume. È un romanzo alluvione, un torrente che lascia il suo letto, porta via, sommerge, vortica tra le mura delle città sommerse, che Mircea Cărtărescu distrugge e resuscita nello stesso movimento, come fa con l’immenso materiale autobiografico, magico, fantastico, logico, scientifico, metafisico di cui la sua opera, che qui trova il suo compimento, è la costante reinvenzione. Cărtărescu dà unità a tutti questi mondi aggrovigliati. Preciso, dolce, indignato, potente, burlesco, senza limiti nella sua capacità di raccontare il mistero, l’irrisorio, la banalità tormentata della vita umana, crea con le sue spirali, solenoide tra i solenoidi, il campo magnetico di un’attesa impossibile. La battaglia del narratore è persa in anticipo. Non fuggirà dal mondo e sarà distrutto, come voi e come me. Ma Solenoide, questo grande romanzo di vendetta irreale, lo porta dove finisce la realtà: dall’altra parte della lente d’ingrandimento, verso un dio inconcepibile che forse ci osserva e ha pietà di noi.
Florent Georgesco, **
**Le Monde
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Questo articolo è uscito sul numero 1411 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati