Se qualcosa è emerso chiaramente dalle molte sorprese del processo costituente cileno è sicuramente il fatto che i partiti politici tradizionali che si sono alternati al potere dalla fine del regime di Augusto Pinochet non sono riusciti a entrare in sintonia con le rivendicazioni civiche e con la rivolta sociale del 2019, e non avranno un’influenza decisiva quando arriverà il momento di scrivere la nuova costituzione.

Ce l’avranno invece gli indipendenti, un gruppo eterogeneo che apre una nuova era negli equilibri politici e che, lavorando di concerto nella Convenzione costituente, potrebbe cambiare il volto all’architettura istituzionale del paese, i cui notevoli risultati economici sono stati raggiunti a scapito delle necessità della popolazione. Gli indipendenti hanno ottenuto il 46 per cento dei voti, anche se le elezioni non hanno avuto la stessa partecipazione del plebiscito di ottobre che ha messo in moto il processo. La destra guidata dal presidente Sebastián Piñera è la grande sconfitta delle elezioni, perché al magro risultato in termini di voti si aggiunge il fatto che molti indipendenti si considerano di sinistra. Alle amministrative il bilancio dei conservatori è ancora più deludente. Il colpo più duro è arrivato dalle comunali di Santiago, vinte dalla comunista Irací Hassler. Non era successo nemmeno all’epoca di Salvador Allende.

Gli analisti sottolineano che l’establishment non ha saputo interpretare la rumorosa melodia della strada. Ora gli occhi del mondo, e soprattutto quelli dei paesi vicini, seguiranno con attenzione la stesura della nuova carta costituzionale che determinerà il destino dei cileni. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1410 di Internazionale, a pagina 15. Compra questo numero | Abbonati