Rebecca Makkai (Ulf Andersen, Getty)

I grandi sognatori di Rebecca Makkai è un romanzo appassionante sulla malattia e la morte. I capitoli si alternano tra un gruppo di amici, per lo più uomini gay, nella Chicago della seconda metà degli anni ottanta, e una donna nel 2015 che va a Parigi in cerca della figlia. I grandi sognatori è forse tra i primi romanzi a raccontare tutta la parabola dell’aids, tra i primi, cioè, a descrivere i terrori e le tragedie degli anni dello scoppio dell’epidemia e a seguirne l’intero corso fino alle sue ripercussioni nei decenni. Makkai mette l’epidemia (che naturalmente non è ancora finita) in prospettiva storica, ma senza smussarne gli orrori. Nel 1985, in una delle ironie più crudeli del secolo, gli uomini gay appresero che la liberazione della libido, l’abbandono di una vergogna secolare, li aveva esposti a un virus implacabile, fino ad allora sconosciuto. Una diagnosi di aids, nel 1985, era considerata una condanna a morte. La compagnia di amici e amanti del romanzo di Makkai vive perennemente in uno stato di morbosa apprensione, aspettando prima i risultati dei test e poi, se le notizie sono cattive, i sintomi. Ma I grandi sognatori è costellato di sorprese, e questa è una piccola meraviglia in una narrativa così piena di finali terribilmente scontati. Come è vero per molti buoni romanzi, chi cerca di recensirli è costretto a destreggiarsi intorno agli spoiler. Basterà dire che nelle parti ambientate a metà degli anni ottanta la morte si scatena, ma non è facile prevedere chi sarà colpito e chi invece sarà risparmiato. Sarebbe inutile cercare di riassumere i numerosissimi personaggi del romanzo, le sue trame e sottotrame ingegnosamente intrecciate. Dalla prima all’ultima pagina il lettore si chiede, senza tregua, cosa succederà dopo. Makkai si è fatta testimone di una storia orribile che rischia già di essere percepita come una vicenda del passato, anche se milioni di persone sono ancora infettate dall’hiv. I grandi sognatori è un antidoto alla nostra tendenza generale a dimenticare ciò che non ci piace ricordare, ma è anche – cosa più importante – una storia coinvolgente ed emotivamente avvincente su cosa significa vivere in tempi di crisi. Michael Cunningham, The New York Times

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Questo articolo è uscito sul numero 1409 di Internazionale, a pagina 108. Compra questo numero | Abbonati