La governatrice di Hong Kong Carrie Lam ha sospeso l’ordinanza che obbligava i circa 400mila collaboratori domestici a fare un tampone e a vaccinarsi contro il covid-19. La misura ha provocato forti proteste nelle Filippine e in Indonesia, i paesi d’origine della maggioranza di questi lavoratori, in gran parte donne, e il 3 maggio la loro rappresentante sindacale ha chiesto le scuse del dipartimento del lavoro. Il segretario del lavoro e del welfare, Law Chi-kwong, aveva detto che le colf che non accettavano di farsi vaccinare potevano lasciare Hong Kong. “È stato un chiaro atto di discriminazione e stigmatizzazione contro i lavoratori migranti”, denuncia Dolores Balladares Pelaez dell’Asian migrant coordinating body. La polemica è scoppiata anche perché a Hong Kong la forza lavoro impiegata nelle case è sfruttata e sottopagata, anche a causa della mancanza di tutele legali e garanzie del salario minimo. “Invece di trattare le collaboratrici domestiche come capri espiatori per la lentezza della campagna vaccinale, il governo dovrebbe darsi da fare per convincere i cittadini a vaccinarsi”, scrive il South China Morning Post.

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Questo articolo è uscito sul numero 1408 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati