La notte del 27 giugno 1973 nel palazzo legislativo di Montevideo si consumò l’ultimo istante di democrazia in Uruguay: il presidente Juan María Bordaberry Arocena sciolse il parlamento e i carri armati invasero le strade della città. In quel momento Aurelio González, fotografo del settimanale El Popular, si trovava in parlamento e il suo primo pensiero andò all’archivio fotografico del giornale. Bisognava salvarlo.
González era nato il 14 novembre del 1931, a Uad-Lau, in Marocco, da genitori spagnoli. La famiglia era poi tornata in Spagna, ma nel 1949 González, considerando la Francia un paese più liberale, decise di trasferirsi a Casablanca, in quella parte del Marocco che all’epoca era una colonia francese. Lì fu arrestato e accusato di essere un immigrato irregolare. Gli fu offerto di scegliere tra cinque anni nella Legione straniera o tre mesi in carcere. Scelse il carcere. Passati i tre mesi, fu rispedito in Spagna ma, poiché non voleva vivere sotto il regime di Franco, decise di emigrare in America. Nel 1952 riuscì a imbarcarsi clandestinamente su una nave da crociera. Non sapeva nemmeno dove era diretta. Riuscì a sopravvivere grazie ai marinai italiani, che per due settimane gli diedero da mangiare e un po’ di soldi per l’arrivo. Da lì nacque il suo affetto per l’Italia. La nave attraccò a Montevideo il 14 novembre, proprio il giorno in cui González compiva 22 anni. Cominciò ad arrangiarsi con dei lavoretti. Si fece degli amici e infine affittò un minuscolo appartamento. Fu allora che incontrò Lucio Navarro, un fotografo spagnolo che aveva combattuto nella guerra civile ed era malato e affamato. González lo accolse in casa sua: “Posso ospitarti, anche se la sistemazione è molto povera”, gli disse. Per sdebitarsi, Navarro gli insegnò a usare la macchina fotografica. González vide subito nella fotografia il mezzo giusto per lottare contro le ingiustizie e le disuguaglianze. Si iscrisse al Partito comunista e cominciò a lavorare prima per il giornale Justicia, poi per El Popular, un settimanale vicino al partito. Fotografò le manifestazioni, le riunioni sindacali, la prima marcia dei lavoratori della canna da zucchero negli anni sessanta, le rivolte degli studenti del 1964, la protesta contro l’invasione statunitense a Santo Domingo del 1965. Il 5 giugno, proprio durante questa manifestazione, la repressione della polizia non risparmiò nemmeno i giornalisti. González fu arrestato e interrogato innumerevoli volte. Il 5 agosto del 1968 un soldato a cavallo gli fratturò la mano destra nel tentativo di colpirlo in testa con la spada. González non si considerava un vero fotografo. Diceva di sé: “Sono, o vorrei essere, un militante con la macchina fotografica al collo”. La situazione politica in Uruguay precipitò il 27 giugno 1973 quando, al grido di “libertà e ordine”, ci fu il golpe militare. Da quel giorno molti giornalisti rimasero a presidiare il palazzo, sede del Popular. Il direttore del settimanale, Eduardo Viera, disse ai fotografi: “Dovete scendere nelle strade e fotografare tutto, la storia si sta svolgendo nei quartieri, negli ospedali, nelle fabbriche e nelle scuole”. González girava per le strade di Montevideo insieme agli altri, per informare e testimoniare. Ma il suo pensiero andava sempre all’archivio fotografico del giornale. Alla fine riuscì a nascondere in un’intercapedine del palazzo dei contenitori di latta con dentro centomila negativi. L’archivio era finalmente salvo.
Dopo quindici giorni di sciopero, il 9 luglio, Radio Sarandí diffuse la voce di Ruben Castillo, il conduttore di un programma musicale di successo e militante socialista. Castillo fermò la musica e cominciò a recitare i versi più famosi di Federico García Lorca: A las cinco de la tarde. “Alle cinque della sera. / Eran le cinque in punto della sera. / Le ferite bruciavan come soli / alle cinque della sera. / E la folla rompeva le finestre / alle cinque della sera”. Era il segnale: alle cinque migliaia di manifestanti si riversarono in avenida 18 de Julio per protestare contro la dittatura. Proprio alla fine dell’avenida c’era la sede del giornale El Popular. Dalle finestre del palazzo Aurelio González fotografò la polizia che caricava la folla con le camionette e i soldati a cavallo che si avventavano su uomini e donne, perfino bambini, con le sciabole sguainate in mezzo al fumo denso dei lacrimogeni.
“A un certo punto un carro armato abbatté il portone d’ingresso e i vetri delle finestre andarono in frantumi”, ricorda González. “I soldati guidati da un ufficiale invasero la sede del giornale e con il calcio del fucile gettarono a terra tutti i presenti. Ero lì con mio figlio di quindici anni, avevo i rullini delle foto di quelle due settimane di sciopero e degli scontri di quelle ultime ore, dovevo nasconderli ma non sapevo come. Corsi fino all’ultimo piano del palazzo. Al sesto piano affidai mio figlio a due donne che conoscevo e continuai a salire a perdifiato, finché intravidi sul terrazzo una piccola gru abbandonata. Nascosi lì le pellicole. E rimasi raggomitolato in un angolo del terrazzo tutta la notte”.
González, che oggi ha 89 anni, ricorda con chiarezza quegli avvenimenti, minuto per minuto. Me li ha raccontati al telefono. In seguito chiese al figlio di recuperare nella gru i rullini con le immagini del famoso raduno a las cinco de la tarde del 1973. Portò con sé quelle immagini durante i suoi anni di esilio in Messico, Spagna e Paesi Bassi, per mostrare cosa succedeva nel suo paese.
Nel 1985, caduta la dittatura, rientrò in Uruguay. Il suo primo pensiero fu recuperare l’archivio fotografico del Popular, ma il palazzo Lapido era stato ristrutturato e l’intercapedine dove aveva nascosto l’archivio era vuota. Trascorsi altri vent’anni, un giorno González fu invitato a partecipare a una mostra. Durante i preparativi parlò con il sindaco di Montevideo, Ricardo Erlich, e gli raccontò la storia dell’archivio scomparso. La storia passò di bocca in bocca finché una mattina González ricevette la telefonata di un reporter dell’Observador. L’uomo gli raccontò di aver incontrato qualche anno prima un ragazzo chiamato Quique, che era il figlio del custode che lavorava nel parcheggio del palazzo Lapido e gli aveva parlato di una scatola di latta piena di negativi. Quique fu rintracciato. Quando mostrò la scatola, dentro c’erano ancora negativi e stampe. Non c’erano dubbi: era l’archivio del Popular.
Quique disse che altre scatole simili si trovavano in un condotto di ventilazione del palazzo. Dei centomila negativi nascosti trent’anni prima ne furono recuperati poco più della metà, che González ha poi pubblicato nel libro Una historia en imágenes (Alter Ediciones 2015). Testimone “di un brano di storia di un Uruguay combattivo, politicizzato, antimperialista, solidale con i popoli che lottavano per la libertà e la giustizia. Solidale con la rivoluzione trionfante di Cuba e l’eroico popolo del Vietnam, con i perseguitati dalle feroci dittature. Questa storia l’ho raccontata con le immagini”. ◆
Aurelio González è un fotografo uruguaiano nato nel 1931.
Luciano Zuccaccia è un fotografo italiano, curatore editoriale e fondatore del sito protestinphotobook.com.
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Questo articolo è uscito sul numero 1408 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati