Antoine Volodine ritorna con un trittico. La prima parte è occupata dall’interrogatorio di Eliane Schubert, che ripercorre l’avventura di una piccola compagnia teatrale itinerante, tenuta insieme da un ideale comune di giustizia e di uguaglianza, forgiata nella lotta e nei campi di un’epoca passata. La compagnia percorreva un territorio immenso e sconfinato, in una zona di freddo, rocce e laghi. Con voce misurata, Eliane racconta gli orrori subiti dagli attori, rapiti e poi decimati da una banda di briganti. Dopo prove inimmaginabili, lei è l’unica sopravvissuta che può testimoniare. Alla fine del suo racconto, le rimane il ricordo della magnificenza dei paesaggi ghiacciati, sprazzi di tenerezza, la compagnia di un piccolo ragno in una pozza di luce lunare e le “vociferazioni”, i “rigurgiti” finali della sua memoria. La seconda parte è composta da 343 di queste “vociferazioni” distribuite in 49 capitoli. Sono imprecazioni ispirate a Maria Soudaïeva, una sciamana siberiano-coreana dalla mente disturbata, che l’autore avrebbe conosciuto a Macao. Nella terza parte, Dura nox, sed nox, siamo immersi nello “spazio oscuro”, trascinati in una vertiginosa spirale narrativa che è simile ai sogni e alle allucinazioni. Composta da una sola frase di più di cento pagine, è un esercizio abbagliante di composizione musicale che segue le metamorfosi e i misfatti di un personaggio fiabesco: un padre incestuoso, assassino, antropofago, stupratore, maligno, dotato di mille vite, capace di riemergere da un esilio di dodici volte dodicimila anni. Un potente ciclo romanzesco attraversato da un respiro cosmico unico. Isabelle Rüf, Le Temps
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1408 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati