Un anno dopo che Pechino vietava l’ingresso nel paese alla maggior parte dei cittadini stranieri per arginare l’epidemia di covid-19, le ambasciate cinesi nel mondo hanno annunciato di voler facilitare i viaggi in Cina per motivi di famiglia o lavoro. Ma c’è un dettaglio: potrà entrare nel paese solo chi ha ricevuto un vaccino realizzato in Cina. L’India, per esempio, non ha approvato l’uso di nessun vaccino cinese.

Questo autogol nelle pubbliche relazioni ci ricorda che l’altruismo della “diplomazia dei vaccini” messa in campo dalla Cina è indebolito da calcoli gretti e da passi falsi. Mesi fa Pechino ha capito che i paesi ricchi sarebbero stati troppo impegnati a vaccinare le loro popolazioni per pensare ai paesi più poveri. La Cina avrebbe potuto conquistarsi la gratitudine di quest’ultimi e al tempo stesso presentarsi come potenza avanzata dal punto di vista scientifico, diplomatico e perfino etico. Cinicamente, la diplomazia del vaccino serviva a riscrivere la storia: sostituire la versione in cui la Cina era responsabile della pandemia con un’altra che la vedeva come salvatrice.

Su ordine del presidente Xi Jinping, lo stato ha destinato molte risorse allo sviluppo di un vaccino e ha firmato accordi con decine di paesi. Secondo i leader di Pechino, questi vaccini sarebbero stati più economici e facili da conservare rispetto a quelli sviluppati in occidente, e avrebbero permesso alla Cina di cambiare il corso della pandemia. I due principali produttori, Sinovac e Sinopharm, dichiaravano di essere in grado di produrre due miliardi di dosi in un anno.

Da sapere
Poca trasparenza

◆ “Il 10 aprile 2021 Gao Fu, direttore del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie della Cina, ha pronunciato una frase che potrebbe rovinare mesi di lavoro diplomatico di Pechino”, scrive Le Monde. Durante una conferenza, Gao Fu ha detto che i vaccini sviluppati dalla Cina “non danno un livello di protezione molto alto”, e ha parlato della possibilità di mischiare vaccini diversi per aumentare l’efficacia. Due giorni dopo lo scienziato ha detto che le sue parole sono state interpretate male, e che il livello di protezione dei vaccini prodotti nel mondo “a volte è alto, altre volte è basso”. A causa della scarsa condivisione di dati, finora la comunità scientifica internazionale non ha potuto esprimersi con chiarezza sui vaccini cinesi.


Ma questa strategia ha incontrato una serie di ostacoli, e non solo per i ritardi nella produzione e nella distribuzione. La Cina ha fatto di tutto per convincere gli altri paesi ad accettare i suoi preparati, ma è stata molto riluttante nel condividere i dati delle sperimentazioni cliniche. Il motivo probabilmente è che i vaccini cinesi sono meno efficaci di quelli occidentali. Questo atteggiamento ha indebolito la fiducia nei confronti di Pechino. Singapore ha firmato un accordo preliminare per comprare il vaccino Sinovac, accanto ai tanti altri ordinati in tutto il mondo. La Cina però ha “mandato tutto all’aria”, per dirla con le parole di una fonte interna, quando la sua ambasciata ha gridato ai quattro venti una consegna di Sinovac a febbraio, prima che il governo di Singapore lo avesse approvato. E l’approvazione non arriverà senza i dati che la Cina si è rifiutata di fornire.

Esportazioni bloccate

Il governo delle Filippine, che ha legato le sue sorti sanitarie a quelle della Cina, sta facendo fatica a convincere una popolazione colpita duramente dalla pandemia ad accettare i vaccini cinesi. A far crescere la sfiducia è stato uno scandalo su un mercato illegale di dosi non regolamentate destinate in larga misura a lavoratori cinesi. E la situazione è peggiorata ulteriormente quando si è scoperto che duecento navi cinesi occupavano una barriera corallina in quelle che le Filippine considerano loro acque territoriali, nel mar Cinese meridionale. Secondo Ronald Mendoza, docente dell’università Ateneo de Manila, la Cina non è molto brava a conquistare i cuori e le menti.

Altrove Pechino se l’è cavata meglio. Un vaccino cinese è di sicuro meglio di niente. E paesi come l’Indonesia e la Malaysia, che non hanno scorte sufficienti dei vaccini prodotti in occidente, sono più che felici di ricevere un aiuto.

Ma la Cina non è l’unico paese orientale capace di produrre grandi quantità di vaccini nella speranza di guadagnarsi la gratitudine degli altri stati. L’India è uno snodo fondamentale dell’industria farmaceutica e un grande produttore. Le sue fabbriche giocano un ruolo di primo piano nella produzione del vaccino della AstraZeneca contro il covid-19. La Russia dipende dall’India per distribuire il suo vaccino Sputnik in tutto il mondo.

L’India ha aumentato le consegne ai paesi vicini, tra cui Bangladesh, Nepal e Sri Lanka. La sua diplomazia vaccinale avrebbe subìto una forte accelerazione nel corso di un recente vertice del gruppo Quad, che riunisce Australia, India, Giappone e Stati Uniti. I quattro paesi hanno deciso di finanziare la produzione di un miliardo di vaccini in India per distribuirli ai paesi che ne avranno bisogno entro la fine del 2022.

Ma l’India, ancora più della Cina, fa fatica a conciliare l’obiettivo d’immunizzare la sua vastissima popolazione con quello di aiutare gli altri paesi. La campagna di vaccinazione è partita lentamente, soprattutto tra le fasce più povere della popolazione, anche a causa di un ampio controllo statale che in un primo momento ha escluso il settore privato. A fine marzo, quando i contagi sono tornati a salire, il governo ha bloccato le esportazioni del vaccino AstraZeneca per garantire una maggiore copertura interna.

Shivshankar Menon, ex ministro degli esteri indiano, pensa che la diplomazia dei vaccini, anche se gestita in modo intelligente, non rafforzerà l’influenza o la reputazione della Cina o dell’India. Le persone sanno leggere tra le righe dei proclami di altruismo. Se non altro, però, il Quad riflette un tentativo di fare qualcosa per la salute globale, dare una risposta collettiva che finora è mancata quasi completamente. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1405 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati