Decine di persone hanno manifestato il 28 marzo a Sousse, in Tunisia, per chiedere che i 282 container pieni di rifiuti domestici importati illegalmente da un’azienda tunisina l’estate scorsa tornino finalmente in Italia, scrive il sito libico Al Wasat. “Non c’è giustizia sociale senza giustizia ambientale” è stato uno degli slogan intonati dai manifestanti, mentre un esponente della giunta comunale di Sousse, Majdi ben Ghazala, ha parlato di “un crimine contro il popolo tunisino”.
All’inizio di marzo, nel corso di una seduta parlamentare, il ministro dell’ambiente tunisino Kamel Edoukh aveva indicato il 24 marzo come termine ultimo per il ritorno dei container in Italia. Lo scorso inverno le autorità italiane avevano dato all’azienda esportatrice, la Società risorse ambientali (Sra), novanta giorni a partire dal 9 dicembre 2020 per recuperare i container, come ha ricordato di recente Jabeur Ghnimi, portavoce del tribunale di primo grado di Sousse, che si occupa dell’inchiesta. Quella scadenza non è stata rispettata perché l’azienda italiana nel frattempo aveva fatto ricorso, ma anche il 24 marzo è passato senza che si sia mosso nulla: secondo fonti dell’Afp, il 28 marzo i container erano ancora fermi nel porto della città tunisina.
La Tunisia produce ogni anno 250mila tonnellate di rifiuti in plastica. È la quarta consumatrice di plastica nel Mediterraneo
Il 17 marzo, riferisce L’Économiste Maghrebin, si è svolto un incontro tra i rappresentanti del governo di Tunisi e quelli dell’ufficio della convenzione di Bamako (il trattato internazionale che proibisce l’importazione in Africa di rifiuti pericolosi) per rafforzare la collaborazione e fare il punto sulla questione dei rifiuti. Tuttavia le ong tunisine e internazionali continuano a denunciare pubblicamente il “lassismo” di Tunisi e di Roma di fronte allo scandalo, scrive Le Monde Afrique.
“L’opinione pubblica tunisina”, scrive la giornalista Fatma Zaghouani su La Presse de Tunisie, il principale quotidiano del paese, “è sconvolta e delusa da un caso triste e deplorevole come quello della spazzatura importata dall’Italia, che ha svelato la propensione di alcuni governanti alla corruzione e al riciclaggio di denaro, a scapito della salute dei cittadini”.
“La Tunisia è il bidone della spazzatura dei paesi europei e le città dell’entroterra tunisino sono i bidoni della spazzatura di quelle sulla costa”, aggiunge Zaghouani, parlando del timore, molto diffuso tra i tunisini, che i rifiuti italiani finiscano semplicemente per essere trasportati di nascosto in altre parti del paese.
Sacchetti e bicchieri
Il caso, spiega l’Afp, ben illustra le ramificazioni del commercio illegale di rifiuti, che s’intensifica man mano che s’irrigidiscono le norme europee. Il fenomeno è ancora più preoccupante se si considera che le infrastrutture tunisine riescono a malapena a smaltire la spazzatura del paese.
Secondo La Presse de Tunisie, il paese produce ogni anno 250mila tonnellate di rifiuti in plastica, una cifra che lo rende il quarto maggior consumatore di plastica nel bacino del Mediterraneo. Ne ricicla solo il 4 per cento. Si stima che i danni causati all’ambiente siano nell’ordine di 54 milioni di dinari (17 milioni di euro) all’anno. Tra i prodotti in plastica più pericolosi per l’ambiente, sostiene il collettivo Zéro déchet Tunisie – che ha lanciato una campagna di sensibilizzazione il 18 marzo, in occasione della giornata mondiale del rici-clo –, ci sono i sacchetti e i bicchieri di plastica monouso. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1403 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati