◆ Il 20 ottobre 2020 una petroliera dell’azienda francese Total, carica di gas naturale liquefatto australiano, ha attraccato al porto di Dapeng, nel sud della Cina. L’azienda sostiene che il carico era neutrale rispetto al carbonio, in quanto le emissioni prodotte dalla combustione erano già compensate dall’acquisto di crediti di carbonio da un parco eolico inaugurato dieci anni prima nel nord della Cina.

Secondo lo scrittore e giornalista britannico Fred Pearce, che su E360 cita altri esempi simili, operazioni di questo tipo suscitano molti dubbi. In teoria l’acquisto dei crediti di carbonio dovrebbe contribuire a iniziative contro la crisi climatica, ma spesso non è così. Il parco eolico cinese, per esempio, avrebbe continuato a funzionare nello stesso modo anche senza vendere i crediti di carbonio, e quindi le emissioni della Total non sono state compensate. È molto difficile valutare i reali benefici ambientali dei vari progetti e il rischio di frodi è alto.

Per questo alcuni ambientalisti sostengono che sia arrivata l’ora di riformare il mercato dei crediti di carbonio, istituito dal protocollo di Kyoto nel 1997. Un’ipotesi è di permettere alle aziende di accedere al mercato solo dopo aver ridotto le loro emissioni. Attualmente sono in vendita circa un miliardo di tonnellate di carbonio. Da sempre, infatti, ci sono più venditori che compratori. Secondo Gilles Dufrasne, dell’organizzazione non profit Carbon market watch, il mercato non ha contribuito a ridurre le emissioni.

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Questo articolo è uscito sul numero 1402 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati