Il Vinrestaurationen Intime ha aperto le sue porte al civico 25 di Allegade, nell’affascinate quartiere di Frederiksberg a Copenaghen, nel 1922. Mentre i grandi music hall come l’Olympia, le Folies bergères e il Moulin rouge di Parigi o El molino di Barcellona organizzavano grandi spettacoli per attirare i turisti, i bar danesi s’ispiravano soprattutto ai cabaret parigini di Montmartre o a quelli di Unter den Linden di Berlino. Luci soffuse, muri laccati color rosso sangue o decorati con vetrate, cornici e specchi, un bancone del bar e tavoli di legno. Tutti oggetti presi da qualche rigattiere. Con la sua atmosfera rilassata, Intime è stato da subito un luogo accogliente dove – ben prima che nel paese fosse legalizzata l’omosessualità, nel 1944 – si riunivano, tra gli altri, anche i gay della città.

Da allora sono cambiate poche cose. Nel nome è stata aggiunta la parola café per dare un tocco francese al posto. Ci si va per bere, per incontrarsi, o semplicemente per passare il tempo in un ambiente pieno di fumo, con una luce soffusa. L’indirizzo è sempre lo stesso e oltre ai clienti fissi ospita nottambuli un po’ brilli, anime solitarie in cerca d’incontri, coppie che approfittano dell’atmosfera, creature notturne smarrite, tristi o disperate, e curiosi. Poi c’è chi va per ascoltare la musica. Il pianista si esibisce tutte le sere e la domenica suona jazz con una band. Spettacoli di travestiti o di drag queen attirano clienti nuovi e abituali.

Sul sito internet il locale è descritto così: “L’atmosfera è allegra, animata, rilassata, divertente e anche calorosa. È ammessa anche una certa malinconia, ma solo a piccole dosi”.

Molto da vicino

Nel 2012 lo svedese Magnus Cederlund, che vive a Copenaghen da più di trent’anni, ha cominciato a fotografare il Café Intime con l’idea di farci un libro. La sua scelta non stupisce se pensiamo che ha cominciato a fotografare dopo aver conosciuto il lavoro di Anders Petersen, Café Lehmitz. Petersen, anche lui svedese, s’immerse per quattro anni nelle notti di un bar di Amburgo dove marinai, prostitute, travestiti e persone ai margini ballavano, giocavano a flipper e si amavano fino all’alba.

Nel 1978 il suo libro, in bianco e nero, fu subito accolto come un cambiamento radicale nella fotografia documentaria e un nuovo modo per raccontare tematiche sociali. Da allora ha ispirato molti fotografi. Cederlund ha lavorato come assistente sociale per più di quindici anni e ha dedicato la sua prima opera, Skin close, ai personaggi di strada, ai tossicodipendenti, agli alcolizzati, agli emarginati (come i malati mentali e i disabili), che ha fotografato per dieci anni molto da vicino, senza giudicarli né scadere nella facile emozione. Per lui era evidente che l’elemento umano, lo scambio, una certa forma di condivisione con i suoi soggetti, dovessero essere al centro del suo lavoro.

Colmare un vuoto

Per Intime l’avventura è durata sette anni. Anche in questo caso Cederlund ha ritratto le persone molto da vicino. Ha lavorato solo con una piccola macchina digitale che aveva in tasca. Era diventato un cliente fisso e la sua presenza non dava fastidio.

Questo aspetto si capisce bene dal modo in cui nelle sue immagini gli sguardi e i corpi si offrono in pose appena accennate, nella più completa fiducia, quasi come se partecipassero alla creazione di un album di famiglia. Da una parte e dall’altra della macchina fotografica gli sguardi sono diretti, non c’è voyeurismo, nessuna immagine rubata, nessuna messa in scena che non sia un semplice modo di mostrarsi. C’è grande rispetto. L’autore del libro alla fine non è solo il fotografo, ma tutti coloro che hanno accettato di partecipare, e il locale stesso, che Cederlund ha ritratto attraverso i suoi protagonisti. A proposito del suo libro precedente Cederlund diceva: “Il mio obiettivo non è sociale ma estetico. Ma se potesse aiutare le persone a entrare in contatto con un lato oscuro della società, ne sarei molto contento. Piuttosto che descrivere la vita dell’individuo, con il mio libro vorrei mostrare che non siamo poi così diversi. Forse siamo tutti uguali quando soffriamo, e questo è visibile più nei volti che nelle strade di Copenaghen. Ma possiamo condividere almeno qualcosa attraverso l’amicizia, l’amore, l’ironia e una certa tenacia. Spero che si veda nelle foto e credo che la gente possa capirlo. Facciamo tutti parte dello stesso mondo. Spero veramente che la mia fotografia sia apprezzata in maniera semplice. E se potesse aiutare a colmare il vuoto su alcune delle cose di cui parlo, sarebbe meraviglioso”.

Potremmo applicare queste considerazioni di Cederlund anche alla serie Intime. Non è fotogiornalismo né fotografia documentaria. Il suo paziente metodo di lavoro si traduce in un’unità di toni semplici, caldi, calmi, che rivelano i corpi e i volti sotto una luce omogenea.

Tutto questo trasmette la forte sensazione della coerenza del gruppo e della coesione nel luogo. È prima di tutto una scelta estetica. Ma anche una scelta etica, con cui mostra ogni personaggio al suo posto, con la sua identità; rispetta i diversi stili di vita che si esprimono in piena libertà in un luogo in cui le decorazioni kitsch e rococò non interferiscono mai con la nostra percezione delle persone. Sono scelte chiare, consapevoli e giuste.

Sicuramente l’anno prossimo, per celebrare degnamente il centenario del Café Intime, lo champagne scorrerà a fiumi nel locale, e Magnus Cederlund non mancherà all’appuntamento. ◆ adr

Fred, 2019
Lærke, 2014
Tobias e Nicolaj, 2015
Lars e Thomas, 2013
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Fred e Karl, 2019
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Da sapere
Il libro

◆ Il libro **Intime **di Magnus Cederlund è stato pubblicato nel 2020 dalla casa editrice svedese Journal, con cui era uscito anche Skin close.


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Questo articolo è uscito sul numero 1401 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati