È difficile credere che Nelson Martínez, meglio conosciuto con il nome d’arte di N. Hardem, sia sulla scena underground di Bogotá da quasi dieci anni. Il rapper colombiano ha all’attivo cinque ep, pubblicati a partire dal 2014. Il suo primo album, Verdor, è uscito il 5 marzo. Ho incontrato uno dei migliori parolieri moderni del paese nello studio Mambo Negro della capitale, dove ultimamente è di casa. Con un berretto nero e la sigaretta in bocca, il rapper parla in modo rilassato. “Mi chiamo Nelson, ma il mio nome d’arte è N. Hardem. Le influenze che alimentano la mia musica sono sicuramente il rap degli anni novanta, ma anche il jazz. Non voglio fare solo rap, voglio fare rap di Bogotá. In questo album sono stato guidato da un impulso verso l’accettazione di me stesso, è stata una prova di maturità. Mi sono dato molta libertà nel modo di scrivere, registrare e produrre”. Parlando dell’hip hop in Colombia, N. Hardem dice: “Sta crescendo e si sta consolidando; all’interno del panorama indie sta prendendo forma una scena molto solida”. E sulla pandemia: “All’inizio ero terrorizzato, come tutti del resto. Era come una guerra, in città nessuno usciva per strada perché era come se una bomba potesse esplodere da un momento all’altro. Poi ho cominciato ad adattarmi, ma anche la paura, il lockdown e la solitudine mi stavano giocando brutti scherzi. Per me fare musica è stato positivo, mi ha aiutato a guarire”.
Frank Kinsey, Sounds and Colours
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Questo articolo è uscito sul numero 1400 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati