Il 7 marzo la polizia filippina ha attaccato brutalmente gli attivisti di sinistra nella parte meridionale dell’isola di Luzon, la principale del paese, uccidendo nove persone e arrestandone altre sei, accusate di appartenere a gruppi di attivisti legati ai ribelli comunisti. È stata una delle offensive più gravi lanciata in un solo giorno dal presidente Rodrigo Duterte contro gli attivisti, etichettati come “rossi” dal suo governo.

Gli omicidi sono avvenuti due giorni dopo un discorso pronunciato da Duterte davanti alla task force nazionale contro il conflitto armato comunista, creata per mettere fine all’insurrezione maoista che dura da 52 anni, ed è un problema spinoso ma certo non una vera minaccia. “Se li incontrate e li vedete armati, uccideteli, uccideteli, fregatevene dei diritti umani”, ha detto il presidente alla squadra, “sarò io ad andare in prigione, non mi faccio scrupoli”. Duterte è già stato deferito per crimini contro l’umanità alla Corte penale internazionale dell’Aja per la sua campagna antidroga, che dal 2016 ha fatto migliaia di vittime per mano della polizia e di squadroni della morte.

Nel suo discorso del 5 marzo Duterte ha detto che i ribelli avevano fatto una richiesta irricevibile, cioè formare un governo di coalizione. “Perciò, visto che non c’è speranza di mettere fine all’insurrezione, ci proverò io”.

I poliziotti responsabili della strage dicono che hanno un mandato di perquisizione e di essere stati aggrediti per primi, mentre per chi contesta il presidente l’operazione è stata una vera esecuzione. Non è neanche chiaro se le vittime fossero davvero dei ribelli comunisti o solo dei militanti di sinistra.

Negli ultimi quattro anni sono stati uccisi almeno tredici attivisti per i diritti umani accusati di aver collaborato con realtà di sinistra e con organizzazioni della società civile che le autorità hanno collegato senza molte prove all’insurrezione comunista. “Secondo una di queste associazioni, Altermidya, tra le vittime c’è Manny Asuncion, coordinatore del gruppo di sinistra Bayan, attivo nella provincia di Cavite, a sud di Manila”, si legge in un comunicato di Human rights watch. “Sono state inoltre uccise due persone non ancora identificate che facevano parte di un gruppo della città di Montalban, nella provincia di Rizal, e una coppia a Batanga. Secondo il sindacato Kilusang mayo uno, Chai Lemita-Evangelista e Ariel Evangelista, entrambi attivi per i diritti dei pescatori e trovati morti , erano stati portati via dalla polizia. Tra gli arrestati della provincia di Laguna c’è un leader sindacale, un altro membro del partito Bayan e un assistente legale di Kapatid, un gruppo che si batte per i diritti dei prigionieri politici. Questi attacchi”, continua Human rights watch, “fanno pensare che ci fosse un piano coordinato delle autorità per aggredire, arrestare e uccidere gli attivisti nelle loro abitazioni e nei loro uffici”. Secondo l’organizzazione, le incursioni “rientrano in una sempre più brutale campagna del governo per eliminare l’insurrezione comunista, attiva da 52 anni. Il problema è che questa campagna non fa più alcuna distinzione tra ribelli armati e attivisti, leader sindacali e difensori dei diritti umani”. Inoltre “non è un caso se questi incidenti si sono verificati in province presidiate dal comando delle forze armate guidato dal generale Antonio Parlade Jr”. Secondo il vicedirettore per l’Asia di Human rights watch Phil Robertson, c’è lui dietro la campagna contro gli attivisti.

Da sapere
Cinquant’anni d’insurrezione

◆ L’insurrezione comunista nelle Filippine è la più lunga ancora in corso nel mondo. Cominciata nel 1969 con la nascita del Bagong hukbong bayan (Bhb, Nuovo esercito popolare), il braccio armato del Partito comunista filippino (marxista-leninista-maoista), la guerra tra esercito e ribelli continua dopo quaranta round di colloqui di pace falliti. Negli ultimi mesi il governo Duterte e le forze armate hanno annunciato che il Bhb è sull’orlo del collasso e che entro la fine del mandato del governo, nel 2022, si arriverà alla pace. In realtà, dato il consenso che hanno i comunisti nelle zone rurali e l’interesse delle forze armate a mantenere viva la minaccia, che giustifica gli ingenti fondi destinati ogni anno all’esercito, difficilmente si raggiungerà la pace in breve tempo. The Diplomat


Giro di vite

Il governo di Duterte sta diventando sempre più violento e repressivo via via che si avvicina alla conclusione del suo mandato. A gennaio il segretario della difesa nazionale ha annunciato la fine di un accordo in vigore da decenni con l’università delle Filippine, l’istituzione educativa più prestigiosa del paese, che vietava all’esercito e alla polizia di entrare nella città universitaria, ritenuta a quanto pare un luogo di reclutamento per comunisti classificati come terroristi.

In una sorta di prova generale, il 10 dicembre alcuni poliziotti armati hanno fatto irruzione nella casa di Lady Ann Salem, una giovane giornalista del sito Manila Today, poi accusata insieme a sei sindacalisti di possesso illegale di armi. Armi che, secondo i suoi colleghi, sarebbero state portate dagli stessi poliziotti durante l’irruzione. Salem, membro del sindacato nazionale dei giornalisti delle Filippine, è considerata una “rossa” e accusata da una commissione del senato di avere legami con i comunisti.

Chi viene etichettato come “rosso”, nelle Filippine, finisce in una lista di persone o organizzazioni critiche verso il governo in carica. In passato questa pratica, un retaggio della guerra fredda che secondo l’Onu e le organizzazioni per i diritti umani incoraggia omicidi e rappresaglie, ha causato esplosioni di violenza. In un’intervista rilasciata a Rappler, il capo della polizia di Calabarzon, Felipe Natividad, ha spiegato che le operazioni del 7 marzo applicavano l’ordinanza esecutiva di Duterte, che sollecita un’azione nazionale per mettere fine all’insurrezione comunista nelle Filippine. L’ordinanza esecutiva sottolinea anche la necessità di “garantire servizi di base e programmi di sviluppo sociale” nelle aree colpite dal conflitto. Ma il governo ha preferito usare polizia ed esercito per attaccare i ribelli armati comunisti e, con loro, degli attivisti accusati senza alcuna prova. ◆ gim

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1400 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati