In un’epoca in cui gli autori emergenti si dedicano a complessi esperimenti su generi e forma, Emma Cline rappresenta una sorta di ritorno al passato. I dieci racconti di questa sua prima raccolta (che segue l’acclamato romanzo d’esordio, Le ragazze), hanno una struttura quasi classica – non ci troverete collage frammentari, elenchi o brandelli di sceneggiatura. Cline evita anche lo stile telegrafico reso popolare da scrittrici come Sally Rooney o Rachel Cusk, e opta per un linguaggio diretto e musicale. Tutti i racconti sono narrati in terza persona, dal punto di vista di uomini e donne. L’asse principale della tensione narrativa è non tanto il rapporto tra i sessi quanto tra le generazioni. Cline preserva la solita gerarchia: i giovani indifferenti, i vecchi risentiti e sconcertati. Il primo racconto, Cosa puoi fare con un generale, segue John mentre tenta senza successo di ricongiungersi ai suoi figli adulti durante una visita in vacanza, con evidente perplessità e disgusto. In La tata, Kayla, 24 anni, si è rifugiata da un’amica di famiglia per nascondersi da uno scandalo che riguarda la sua relazione con un attore famoso. In Regionale nordest, un padre burbero prende il treno per andare a prelevare suo figlio dal collegio dopo che è stato coinvolto in un “incidente” che non viene rivelato. Cline è un’acuta osservatrice dei ritmi sociali dell’alta borghesia. I suoi personaggi non sembrano mai caricature o capri espiatori, e le loro ansie derivano dalle particolari impasse della loro vita. Uno dei grandi temi di Daddy è l’artificio, la performance. Non sorprende che alcuni dei racconti siano ambientati nel mondo hollywoodiano e letterario. In Menlo Park, un editore fallito si mette a lavorare per un uomo d’affari anche lui fallito che sta scrivendo un libro di memorie, e in Figlio di Friedman, un giovane proietta il suo cortometraggio libertino per l’orrore del padre produttore. Sono personaggi che fanno del loro meglio, deludono se stessi e coloro che amano, ma non sempre in quest’ordine e non sempre nei modi che si aspettano. Cline è una prosatrice molto dotata, ma è la sua comprensione profonda dell’umiliazione moderna che fa vibrare di vita queste storie. Brandon Taylor, The New York Times
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Questo articolo è uscito sul numero 1397 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati