◆ Nella penisola Fosen, in Norvegia, sono state installate di recente 208 pale eoliche. Alte quasi come il Big Ben, scrive l’Independent, raccolgono il vento che proviene dall’oceano Atlantico. Le turbine, però, rendono più difficile la vita dei pastori sami, che sfruttano i pascoli montani per allevare le renne. Per circa vent’anni i pastori avevano cercato di opporsi alla costruzione degli impianti. “È davvero paradossale”, dice Johan Strömgren, direttore dell’Istituto norvegese dei diritti umani (Ennhri). “I popoli indigeni sono probabilmente il gruppo che nel nostro paese ha contribuito di meno al cambiamento climatico, ma potrebbero essere loro a pagare gran parte del conto”. L’anno scorso un tribunale norvegese ha deciso un risarcimento da 89 milioni di corone norvegesi (quasi nove milioni di euro) per i pastori sami, ma il caso non è chiuso perché le autorità hanno presentato appello.

Dal lato opposto dell’oceano, i pescatori della costa orientale degli Stati Uniti hanno combattuto di recente una battaglia simile. Il caso di Vineyard Wind, nel Rhode Island, si è chiuso solo nel 2019. La disputa riguardava un parco eolico marino da due miliardi di dollari, al quale si erano opposti i pescatori locali. Alla fine si è arrivati a un accordo, con la riduzione delle pale da costruire e la creazione di un fondo da quasi 17 milioni di dollari per compensare le perdite dei pescatori. Lo schema di accordo, secondo potrebbe essere usato in altri casi simili.

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Questo articolo è uscito sul numero 1397 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati